Betlemme, centro storico. Scendiamo dal pullmann e all'angolo di una grande piazza abbrustolita dal sole (Manger sq) incontriamo Gabriella, la nostra nuova-guida-per-poche-ore. Fin dal primo momento, la sensazione e' che sia anche piu' severa di Vittorio, in fatto di ritmi serrati e rispetto dei tempi (e ce ne vuole!). Ci fa strada fino al ristorante, ben sistemato ma semivuoto, dove siamo attesi per il pranzo. A tavola, qualcuno lascia trapelare un po' in ansia per la giornata di domani: Vittorio ci ha già preannunciato che grandi fatiche e la cosa, in effetti, e' scoraggiante visto che siamo già stravolti cosi', senza ancora avere completato il giro di oggi, con la visita di Betlemme! Per il resto, la sosta fila relativamente liscia. Solo qualche mugugnio da parte di Marina, quando ci viene servito il solito ricco pasto a base di riso e petto di pollo: ancora riso?!? Possibile che i questo paese non si mangi altro? Qualche piccolo problema anche con l'acqua in brocca, che deve essere stata prelevata dall'Acheronte (permettetemi questo vezzo letterario! ;-)), per quanto puzza di zolfo! Chi ha chiesto quella in bottiglia oggi l'ha proprio indovinata.
La prima visita del pomeriggio è dedicata alla grotta della nativita’ e alla Basilica che le e' sorta tutta intorno, anzi sopra, per la precisione. Si tratta della più antica chiesa cristiana, tuttora in funzione in Terra Santa. Si entra attraverso la porta dell'umilta', stretta e bassa per impedire che si potesse entrare in chiesa a cavallo. Gabriella ci fa notare gli scavi che nel 1934 rinvennero, almeno un metro e mezzo sotto il livello di quello attuale, l'originale pavimento a mosaico della chiesa costruita in questo sito nel IV secolo. Si entra attraverso la Porta dell'Umiltà, bassa e stretta perchè i cavalieri (e gli invasori) non vi passassero a cavallo. La basilica è oggi divisa tra alcune fra le principali anime del cristianesimo: cattolica (in questo caso francescani, arrivati qui per ultimi), greca-ortodossa e armena. Se in questa casa cosi' speciale ci fossero anche protestanti e anglicani, la famiglia si potrebbe considerare al completo. Mentre attendiamo il nostro turno per la discesa alla santa grotta, assistiamo ad una preghiera cantata da un religioso armeno, che si trova piu' o meno nel punto dove, a Natale, scoppiarono i tafferugli tra preti per via di un banalissimo sconfinamento durante le pulizie della chiesa. Due parole su questo curioso aspetto della convivenza tra diverse chiese cristiane nelle basiliche della Terra Santa.
Storicamente, le prime comunita' di fedeli in Terra Santa rispondevano a gerarchie greco-ortodosse; gli armeni, invece, furono invece il primo popolo a convertirsi al cristianesimo, all'inizio del IV secolo ed e' a partire da allora che iniziano le relazioni con i luogni santi della Palestina. La coabitazione tra chiese d'oriente e chiesa latina-cattolica e' una parentesi di duecento anni, durante l'epoca delle crociate e viene bruscamente interrotta con la conquista da parte del Saladino di Gerusalemme, quando le gerarchie latine vengono massacrate o espulse dalla Terra Santa. I francescani cominiciarono a tornare da queste parti a partire dal 1300 e da allora per i cattolici, gli armeni e i greci-ortodossi e' cominciata una storia secolare di convivenza, tentativi di esclusione e dissidi, risolta soltanto nel 1767 e poi, definitivamente, nel 1852 con l'emanazione dello Status Quo, una sorta di decreto che conferiva con meticolosa precisione porzioni di Basiliche all'una o all'altra Chiesa. Da allora, sono cambiate molte cose, l'impero turco si e' sgretolato, quei territori sono oggi teatro di scontri tra israeliani e palestinesi, ma i cristiani della Terra Santa proseguono la loro strana convivenza, fatta di litigi e scope che non devono spazzare oltre le linee immaginarie dello Status Quo.
Finalmente, scendiamo per una ripida scala, in fondo alla quale troviamo la grotta. Una stella d'argento, posta sotto un altare, indica il punto esatto dove, secondo la tradizione, nacque Gesù; a lato, la famosa mangiatoia dove fu deposto il bambino, per essere scaldato dal fiato degli animali. Ci inginocchiamo e, a turno, baciamo la stella. Si fa molta fatica a trovare la giusta concentrazione, per via della fretta con cui siamo spinti a compiere gesti, che non si fa tempo a meditare. Vorrei evocare dentro di me gli eventi di quella santa notte, ma non posso far altro che seguire la processione davanti agli altare di alcuni compagni di viaggio e a lasciare la grotta con la sensazione amara di un incontro venuto male.
La messa nella cappellina intitolata a San Girolamo, fortunatamente, restituisce quel senso di raccoglimento e intimita' di cui sentivo il bisogno. Ritrovo un po’ di pace. Il commento al brano di Luca della nascita di Gesu' spetta a Marina. Non avrei voluto questo brano, dice. E' troppo “normale”. Il centro della nostra vita religiosa e’ la Pasqua, in cui il Signore ha fatto delle cose grandi. Il Natale, al contrario, è la festa dei bambini, nella quale evochiamo con tenerezza la semplicita' di un evento del tutto "umano", ordinario, non spettacolare. Poi ho capito che questo era proprio il brano che ci voleva per me, cosi’ egocentrica. Credo che non mi sia capitato per caso, ma che quel Dio bambino mi abbia voluto richiamare all’umilta’. Marina chiude la sua riflessione invitando tutti noi a tornare da questo viaggio, nelle nostre case, riconoscendo le meraviglie operate da Dio.
Chissa' se per la stanchezza o tensione interiore o proprio per il nervoso di non aver trovato la pagina giusta al momento del canto con la chitarra: comunque sia, assisto al crollo del nostro buon Biste Giamburrasca. Copiose scendono le lacrime, su quelle guance pallide.
La visita a Betlemme si chiude con la tappa alle grotte dei pastori, che in realta' non visitiamo: altri gruppi di italiani le occupano, intenti a celebrare le loro funzioni religiose. La sosta all'aria aperta, nel bel giardino, con fiori e piante curate, non mi dispiace affatto. Riprendiamo posto sul pullmann, consumati dal caldo e dalle fatiche della giornata. Beppe-Ciccio-Isaia ha ancora la forza di scherzare e ci delizia con un travestimento da talebano (be' in realta', indossa semplicemente una kefia).
Una volta in hotel, mi butto sul letto e mi rialzo dopo due ore filate di riposo. Dopo una doccia rigenerante, sono pronto per la cena. E qui ci scappa l'aneddotto. Cos'è una anana? Dicesi "anana" un budino, che ha il solo difetto di avere la "b" di banana scritta con un colore e una dimensione del carattere diversi rispetto a quelli del resto della parola. Il che puo' dar vita a tutta una serie di supposizioni su questo strano budino: secondo Silvia, infatti, la parola anana sarebbe in realtà la traduzione araba di "vaniglia". Ripensandoci, pero', il budino potrebbe avere il gusto dell'ananas, ma e' mai possibile che si siano persi la "s" finale? Eppure, il sapore dolce... Grandissime risate quando si scopre la faccenda: anana diventa per un po' il soprannome di Silvia, come giusto riconoscimento alla sua fervida (e contorta) immaginazione. Vabbe', forse era meglio che se le faceva pure lei un paio d'ore di riposino...
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