Ed eccoci arrivati al gran giorno. Davanti a noi, la porta di Jaffa, oltre la quale ci attende il quartiere ebraico e la parte piu' antica della citta' santa. Sono da poco passate le otto del mattino e la via di re Davide e' deserta, tutti i negozi sono chiusi, complice anche la settimana di festa per la Pasqua ebraica. Per poter accedere alla zona del Muro Occidentale (piu' famoso, in occidente, con l'appellativo di "Muro del Pianto"), dobbiamo sottoporci ad un check-in: persone e zaini vengono accuratamente osservati alla luce dei raggi-X e dei metal detector, come succede in aereoporto. Non e' certamente quello che si puo' definire un caldo benvenuto, ma oltrepassato l'ostacolo veniamo ripagati di una vista magnifica. Davanti a noi si apre una grande piazza, dal colore bianco abbagliante, su cui si affacciano case non molto alte, con archi e finestre tipiche dell'architettura israelita; in fondo alla scalinata, la pavimentazione digrada dolcemente verso il fondo della piazza, dove si erge l'imponente muro occidentale, l'unica porzione della cinta muraria esterna all'area del Tempio rimasta miracolosamente in piedi, dopo che Tito ne ordino' la completa distruzione.
Vittorio ci spiega che la dicitura "Muro del Pianto" è stata coniata in Occidente, per via di un malinteso: il pianto durante la preghiera, indusse a credere che gli ebrei cadessero in uno stato di profonda tristezza e sconforto, dovuto al ricordo della perdita del loro tempio piu' sacro. In realtà, il pianto deriva da sentimenti di gioia ed eccitazione per il fatto di poter essere li' a pregare, nel cuore della citta' di Davide. Molti uomini d'affari, che sono solo di passaggio a Gerusalemme, non mancano di fare una corsa in taxi fino a qui, per poter passare anche solo pochi minuti in questo luogo magico e speciale. Se fosse possibile, insomma, il western wall andrebbe soprannominato come "Muro della Felicita'". Cio' che colpisce maggiormente, in ogni caso, e' la grande concentrazione di uomini con folte barbe e riccioli cascanti (peyot), dall'abbigliamento nero elegante, con camicie bianche, cravatte e cappelli neri di varie fogge. Sono presenti anche molte famiglie, con numerosa prole; alcune si sistemano in posa alle nostre spalle per una foto ricordo. Mi sorprende il fatto che anche i bambini piu' piccoli indossino i vestiti della tradizione. Le donne indossano abiti scuri piu' leggeri di una sobria eleganza; anche le acconciature sono molto semplici. L'effetto complessivo ricorda la moda dei primi decenni del secolo scorso. Persino le ragazzine, in questo modo, sembrano avere l'aria delle donne mature.
In piazza, ci sono fontane per le abluzioni, con brocche a due manici. L'accesso al muro è diviso in due: uomini da una parte, donne dall'altra. Gli uomini si devono coprire il capo per avvicinarsi al Muro e ai turisti vengono forniti dei copricapi in cartone simili ai kippah degli ebrei osservanti. In realta', a noi basta indossare il berretto che ci e' stato donato dall'agenzia viaggi all'atto della prenotazione del viaggio. In mezzo a quella folla, mi sento come un marziano. Gli ebrei sussurrano i loro lamenti senza fare (apparentemente) troppo caso a me. Un cameraman dotato di una grande videocamera riprende da molto vicino gli chassidim che si inchinano ritmicamente in avanti verso il muro: ma come fa? Mi chiedo. Io provo vergogna a scattare quelle quattro foto che mi riesce di fare. Con circospezione e a mani giunte, mi avvicino il piu' possibile al muro, senza tuttavia toccarlo: ho come paura di profanare una cosa che non mi appartiene. Qualcuno, invece, lo abbraccia e lo bacia, ma non mi pare di veder scendere alcuna lacrima. Perlustro, quindi, le stanze dove si recitano preghiere in mezzo a scaffali pieni di bellissimi libri. Alcuni vecchi con il mantello sul capo (talet) sembrano i "Caifa" della situazione (il sommo sacerdote e capo del sinedrio che condanno' Gesu' a morte). Il tutto mi impressiona molto. Nel lato femminile, invece, donne e ragazze stanno sedute con stormi di bambiniin grembo e pregano guardando il muro. Qualcuna piange. Avvicinarsi al muro non è facile, alcune di noi infilano nelle fessure tra le pietre foglietti con preghiere. C'è anche una piccola libreria di legno con i testi per le preghiere. Uscite, ci avviciniamo ad una balaustra che dà sul lato riservato agli uomini giusto in tempo per vedere l'apertura di una antica e maestosa Torah.
Terminata la visita libera al muro occidentale, passiamo un secondo check-in e ci dirigiamo verso la Spianata del Tempio, cuore del quartiere musulmano. Qui siamo ospiti, ci ricorda Vittorio, spiegandoci le regole di comportamento alle quali ci dovremo attenere: non si mangia, non ci si tocca o abbraccia tra uomini e donne e l'abbigliamento deve essere decoroso. Attenzione a non fotografare le persone, soprattutto anziane che potrebbero irritarsi. Non avremo l'accesso al santuario della Cupola della Roccia, nè alla moschea: una volta era consentito, ma oggi e' un diritto esclusivo dei musulmani. Vittorio coglie l'occasione per spiegarci quali sono i cinque pilastri dell'Islam. Shahada, la professione di fede. Salat, l'obbligo alla preghiera rituale, che deve essere fatta 5 volte al giorno al richiamo del muezzin (prima dell'alba, a mezzogiorno, a metà pomeriggio, al tramonto e prima di mezzanotte). Zakat, fare l'elemosina ai poveri, che poi diventa il sostenere la comunita' islamica. Sawm, il digiuno durante il mese di Ramadan, che commemora la rivelazione del Corano a Maometto. I musulmani, dall'alba al tramonto, non possono far passare niente attraverso le labbra (cibo, acqua, anche il fumo) e si astengono dai rapporti sessuali. Hajj, il pellegrinaggio ai luoghi sacri della Mecca. Coloro che tornano possono avvalersi del titolo di hajji (pellegrino) e hajja per la donna (che può andarci solo accompagnata da un parente maschio) e possono dipingere sulle porte di casa un simbolo che ne dia testimonianza (spesso, la Ka‘ba).
La spianata del tempio è maestosa, lastricata di pietre, con aiuole geometriche rinfrescate dalla chioma degli alberi. Una scalinata centrale conduce davanti all'ingresso della magnifica Cupola della Roccia, che splende alle nostre spalle. Vittorio ci da qualche cenno storico, mentre un vecchio ambulante panzuto cerca di venderci a tutti i costi qualcosa: visto che non potremo vedere da vicino la famosa roccia, ci vuole convincere che le sue cartoline sono un buon affare. Vittorio ci indica anche le vasche per le abluzioni che, però, restano pudicamente nascoste al pubblico, ribassare rispetto al terreno. Mi vengono in mente la Mezquita di Cordoba e le belle vasche d'acqua per le abluzioni dell'Alhambra. Visto da vicino, il santuario della roccia è un gioiello ancora piu' splendente: rivestito di maioliche blu, verdi, gialle brillanti e sormontata dall'oro luccicante della grande cupola. Anche qui ci scappa una bella foto di gruppo. Dall'alto della spianata, tra le altre cose, si gode una bellissima vista sul Monte degli Ulivi.
Dopo una breve tragitto attraverso il quartiere musulmano, raggiungiamo la cosiddetta Piscina Probatica (e non acrobatica, come qualcuno asseriva :-)) o vasca di Bethesda: un bacino idrico lungo cinquanta metri per cinquanta metri di profondita', oggi vuoto. Vi si possono solamente ammirare i resti delle arcate che un tempo sostenevano le volte di un'antica basilica bizantina. La piscina aveva lo scopo di abbeverare gli animali e serviva anche come riserva d'acqua per la pulizia del tempio (bisogna considerare i numerosi sacrifici che gli antichi ebrei praticavano nell'area dell'attuale spianata). Attorno alla vasche, giacevano sempre molti infermi ed e' proprio qui che Gesù compi' la guarigione del paralitico. Il commento al brano di vangelo, spetta a Suor Lucia. Sembra che il brano sia finito proprio alla persona giusta, ci confida. Recentemente ho molto sofferto in prima persona a causa di un problema alla caviglia e ho anche sperimentato la paura di non poter più camminare, poiche' ci fu un errore umano in ospedale e venni curata male. Gesù, tuttavia, mi e' stato vicino e oggi sembra dire e me e a tutti noi: alzati, riprendi coraggio, anche quando sembra di essere di fronte al fallimento. Con l'aiuto della sua grazia, possiamo superare le prove che ci da il Signore.
A lato della piscina si trova la Chiesa di Sant'Anna, luogo nel quale la tradizione colloca la casa di Gioachino e Anna, i genitori di Maria, la quale avrebbe vissuto qui la sua infanzia. La chiesa è nota per la sua acustica strepitosa e noi ne approfittiamo per intonare qualche canto dedicato alla Madonna. Massimo e Manuela ci regalano anche un paio di strofe dello Stabat Mater, uno dei cavalli di battaglia del coro di Monterosso.
Ultima tappa per questa mattinata nella citta' vecchia è il Cenacolo, ossia la stanza dove venne consumata l'ultima cena, nonche' il luogo in cui nel giorno di pentecoste gli apostoli ricevettero lo spirito santo. In realta', non abbiamo certezze in proposito, ma la tradizione vuole che la stanza del Cenacolo sia collocata al piano alto della casa dove e' situata la Tomba del re Davide. Il sito è oggi di proprietà del governo ebraico, ma l'accesso e' libero e garantito per tutti i fedeli cristiani. Troviamo qui, infatti, molte comitive di fedeli (e non): il rumore e la confusione sono indecenti e non solo e' impossibile cantare, ma anche solo leggere il Vangelo o fare una piccola riflessione. il Don, pero', ci sostiene dicendo che non dobbiamo perderci d'animo. Poi, ci chiede di formare un cerchio e, improvvisamente, inginocchiandosi fino a toccare terra con la faccia, bacia i piedi a ciascuno di noi. Anche in quel caos, e' uno dei momenti più toccanti del pellegrinaggio.
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