domenica 20 aprile 2008

Tiberiade

Per il pranzo, Vittorio ha scelto per noi un belissimo ristorante sulla sponda est del lago, gestito da un Kibbutz (= comunita’, in ebraico) locale. E' l'occasione per raccontarci qualcosa su questa particolare forma associativa e relativa storia. Il Kibbutz sulle rive meridionali del lago di Tiberiade agli inizi del '900, su iniziativa di un gruppo di giovani ebrei provenienti dalla Russia, che non chiedevano solo di poter coltivare un pezzetto dell'antica terra promessa, ma che erano anche decisivi a forgiare un nuovo stile di vita, rurale, socialista e ateo. Figli delle utopie del XX secolo, insomma. Oggi, in Israele, si contano circa 260 kibbutzim, ciascuno costituito da poche centinaia di persone; in tutto, rappresentano meno del 3% della popolazione totale di Israele. Col tempo le cose sono un po' cambiate, ma i principi regolatori della vita di questa gente sono ancora quelli di una volta: nessuno possiede alcunche', la comunita' provvede alle necessita' di ciascuno, dal cibo, all'istruzione, ai viaggi. L'economia e' prevalentemente agricola, ma il kibbutz vive anche di servizi, come alloggi turistici e ristorazione. Da questi insediamenti provengono ottimi soldati e, in generale, gente che si distingue in tutti i campi, soprattutto in ambito culturale. Da quanto mi spiega Vittorio (piuttosto rudemente, a dire il vero), il kibbutz ha giocato un ruolo importante nella costruzione dello stato israeliano, anche se e' una semplificazione troppo forte dire che e' una delle facce del sionismo.

Prendiamo posto a tavola, sotto un grande capannone, gremito di turisti e gruppi come noi. Le tovagliette sotto ai piatti riportano la traduzione di alcune parole chiave in molte lingue del mondo. Tranne l’arabo. I ragazzi che servono ai tavoli mi sembrano un po' freddini, tuttavia, vedo che tra loro scherzano e ridono: forse non si vive poi cosi’ male, in questi kibbutz, anche se stai in una zona di confine col nemico siriano. Il pranzo scorre allegramente, le pietanze sono gustose. Il piatto forte, specialita' della casa, e' il pesce di San Pietro: una bestia enorme e saporita, cucinata alla griglia.

Purtroppo, dopo la gran mangiata, non c'e' il tempo per rilassarsi e ci dirigiamo un po' controvoglia verso il pontile, al quale e' attraccata la barca con cui attraverseremo il lago. Il design di queste imbarcazioni riprende le linee delle barche utilizzate dai pescatori dei tempi di Gesu'. Emozionante. Sulla barca, ci accoglie un equipaggio di barcaioli, che issa il tricolore e attacca a tutto volume l'inno di mameli. Kitch! Noi stiamo al gioco e, superati gli indugi, con la mano al cuore, intoniamo il nostro "Fratelli d'Italia". In fondo, non capita spesso, neppure in Italia, di mostrare un filo di patriottismo.

Al largo, i motori si spengono, leggiamo i brani del Vangelo che riguardano il "mare di Galilea". La riflessione tocca a Manu, che pero' sembra vinta dall'imbarazzo e dalla timidezza, anche per via del microfono che certo non la mette a suo agio. Marina le si avvicina e la incoraggia e dopo qualche istante inizia a parlare. Accenna a momenti difficili del recente passato e parla dell'amicizia sperimentata in questo viaggio, che da la forza di andare avanti. Un discorso toccante che lascia tutti commossi e senza parole.

Il lago è calmo, lo sguardo si perde errando tra le sponde e immaginando che un uomo possa arrivare, camminando. Molti si lasciano semplicemente carezzare dal calore del sole e dallo sciabordio lento dell'acqua contro il legno della barca. Che pace! Ma dura poco: il Don, seduto al centro del cerchio, rompe il silenzio, attaccando un canto, che accompagna con la chitarra. Vivo questa interruzione con nervosismo e rabbia. I ritmi del pellegrinaggio, la marcia a tappe forzate tra un santuario e l'altro, con continui inviti alla preghiera e alla meditazione, la gestione del tempo decisa da altri... tutto questo inizia a pesarmi! Forse ho sottovalutato il pellegrinaggio, prendendolo per un viaggio turistico con un gruppo di parrocchiani. E' il momento piu' buio di tutto il viaggio. Trascorro il resto della traversata del lago trasferendo il malumore che ho addosso nel "discorso di Tommaso", la parte piu' creativa della riflessione sul brano di Vangelo che mi e' toccata in sorte.

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