La giornata di oggi e' la prima delle due che dedicheremo interamente alla visita di Gerusalemme. Partiamo da Betlemme con un quarto d'ora accademico di ritardo da parte di Bruno e Luisa: in realta' c'e' stato un malinteso sull'orario del ritrovo. Poco male. Ripassiamo dallo stesso posto di blocco del nostro arrivo, ma anche stavolta non ci sono problemi. Anzi, sul pullmann sale un bel soldato e dal fondo si leva il mugugnio delle donne che si lamentano del fatto che il giovane si sia limitato ad osservare, dal posto di guida, la selva di mani alzate con i passaporti.
La prima tappa della Città Santa è la Cappella dell’Ascensione, sul Monte degli Ulivi, nella quale è conservata la roccia dalla quale, secondo la tradizione, Gesù è asceso al cielo davanti agli occhi attoniti degli apostoli. Il sito, di origine crociata, e' divenuto col tempo un luogo di culto islamico: proprio accanto alla cappella cristiana, infatti, è stata costruita una moschea. Vittorio ci spiega che anche i musulmani venerano Gesù, in quanto messaggero di Dio e anticipatore della venuta dell'unico grande profeta, Maometto. Quando Saladino conquisto' Gerusalemme, quindi, decise di convertire la cappella dell'ascensione di Gesu' a luogo commemorativo dell'episodio della salita al cielo compiuta da Maometto (vedi anche santurario della Cupola della Roccia). La visita dura lo spazio di pochissimi minuti, giusto il tempo di entrare, osservare la pietra vicino alla quale e' acceso un lumino e scattare una foto ricordo: fuori ci sono frotte di altri turisti, tra i quali un gruppo di vicentini particolarmente agguerriti e chiassosi. Vittorio e il Don ci avevano messo in guardia su come sarebbe andata questa giornata.
Percorriamo un breve tratto di strada, fino a raggiungere il chiostro di un monastero di frati carmelitani: secondo una antica tradizione, risalente al quarto secolo, in questo luogo Gesu' insegno' ai suoi la preghiera del Padre Nostro. Sulle pareti ci sono decine e decine di maioliche con il testo della preghiera tradotto in varie lingue e dialetti del mondo (Vittorio precisa che sono oltre 140). Piccola nota di costume: tra le tante, notiamo anche la versione in milanese e, in un altro angolo, quelle in emiliano, vicentino e napoletano. All'ingresso, sulla sinistra, si puo' ammirare anche una tavola in marmo con la preghiera trascritta in aramaico ed ebraico, le due lingue probabilmente utilizzate da Gesù durante la sua predicazione. C'e' molta gente, ma riusciamo a trovare un angolo, all'ombra delle piante, dove ritirarci in preghiera e meditazione. Entriamo a visitare l'antica grotta del Padre Nostro e li' intoniamo un canto.
Proseguiamo lungo la strada panoramica che corre sopra l'antico cimitero ebraico e, dopo aver immortalato suor Lucia in una simpatica posa a fianco di un dromedario, raggiungiamo un'ampia balconata panoramica, dalla quale possiamo godere di una splendida vista - davvero da cartolina! - sulle valli del Cedron e di Josafat (ai nostri piedi) e la citta' vecchia (propro di fronte), con il suo profilo di case antiche, cupole e torri e le imponenti mura. Curioso! Se non stessi in realta' parlando di Gerusalemme, un bergamasco potrebbe pensare che stia descrivendo citta' alta, non vi pare? In primo piano, la misteriosa porta d'oro (quella attraverso cui, secondo Ezechiele, passera' il Messia - Gesu' passo' di li' quando fu tradotto in citta' per essere giudicato dal sinedrio) e, piu' in alto, in cima alla collina di Moriah, la bellissima Spianata del Tempio, al centro della quale brilla, con il suo caratteristico tetto dorato, quel magnifico gioiello di arte moresca che e' il santuario della Cupola della Roccia. La "roccia" e' la mitica pietra vicina alla moschea remota (= Gerusalemme) da cui Maometto sarebbe asceso al cielo per il suo viaggio notturno (Al Isrâ'), durante il quale incontra Abramo, Mose', Gesu' e sale fino al cospetto di Allah. L'episodio e' raccontato nella diciassettesima sura del Corano ed e' cosi' venerato da fare di Gerusalemme la terza citta' santa dell'Islam. Secondo la tradizione ebraica, invece, la roccia e' invece la pietra su cui Abramo stava per compiere il sacrificio del figlio Isacco (per i musulmani, si trattava di Ismaele, ndr) prima che Dio gli facesse trovare un ariete impigliato in un cespuglio.
Quante suggestioni! Rievochiamo l’arrivo di Gesu’ a Gerusalemme: vedendo la citta’ si commuove e ne profetizza la fine. Anche il Don sembra partecipare della tristezza di Gesù e con una punta di amarezza ci fa notare come la storia ci stia svelando la triste realizzazione della sua profezia. L'occasione e' ghiotta per una bella foto di gruppo. Da sinistra a destra e dall'alto in basso: Massimo (girato...), Claudio, Luciano, Brunella, Dirce, Lucia, Tina, Manu, Luca "Biste", Nicoletta, Manuela, Franca "Frankieeeee", 'Ciano (il Don), Luca "Ciuicì", Giannina, Dino, Beppe "Ciccio", Silvia, "la" Roby, Bruno, Stefania, Luisa, Antonio, Laura, "il" Roby. Poso il mio quadernetto di appunti per terra e Luca, che mi stava osservando, si inventa un soprannome anche per me: il "Bruno Raschi" della compagnia. Al mio sguardo interrogativo, risponde chiarendo che si tratta di un memorabile giornalista della gazzetta dello sport. Detto da un gran ciclista come lui, lo prendo senza altri indugi come un complimento.
La ripida discesa ci porta verso il giardino del getsemani. Sulla strada, pero', abbiamo l'occasione di guardare piu' da vicino le tombe del cimitero ebraico. Alcune sono antichissime, addirittura risalenti all’epoca del re Davide. Sopra molte tombe sono poste dei sassolini, secondo la tipica usanza della religione ebraica. Vittorio ci spiega che essere sepolti, per gli ebrei, e' un grande privilegio: da ogni parte del mondo, piovono richieste di prenotazione di un pezzo di terra, dove essere sepolti al momento del decesso (con non pochi affanni dei familiari, che devono organizzare il trasporto della salma, magari, dall'altra parte del pianeta!). Quello della sepoltura e’ un servizio gratuito, qui come in tutti i cimiteri ebraici: non si usano bare, ma si viene sepolti e ricoperti da qualche centimetro di terra e da lastre di pietra. I corpi non vengono esumati, come nei nostri cimiteri: e' per questo che si sono conservate tombe così antiche. I parenti più stretti partecipano al rito funebre, l'uomo di casa (ma anche la donna, volendo) normalmente fanno un discorso commemorativo. Ad un anno di distanza esatto dalla scomparsa del caro defunto si celebra un secondo rito, per la quale e' fatto obbligo ai figli di partecipare. Ma per quale motivo gli ebrei desiderano tanto essere sepolti proprio in questo cimitero? Vittorio ci svela anche questo mistero: la valle di Josafat è il luogo nel quale, secondo il loro credo, avverra’ il giudizio universale (Jeoshaphat in ebraico significa infatti "Dio giudicherà"). Un po' come la collina di Megiddo (o Armaghedòn) per i cristiani, insomma.
Ed eccoci al getsemani. Attono alla meta' del '600 i francescani acquistarono l'orto degli ulivi, il giardino dove, secondo il Vangelo, ha inizio la passione di Gesu'. Oggi si possono ammirare delle piante di ulivo secolari, di un fascino sublime. Chiaramente non si tratta degli stessi ulivi di allora, ma e' probabile che derivino dalle stesse radici. La bellezza mistica di questo luogo lascia senza parole. Il silenzio è rotto solo da sussurri. Superato il giardino, visitiamo la Basilica dell’Agonia, dedicata alla passione e al dramma umano vissuto da Gesù: il colore che domina l'interno della chiesa e’ il viola (davvero di grande effetto! L'estro dell'architetto Barluzzi, questa volta, sembra avere centrato in pieno l'obiettivo voluto). L'atmosfera che si respira tra i fedeli e' di grande raccoglimento; di fianco all'altare, alcune donne con la faccia rivolta verso terra abbracciano la pietra su cui Gesu’ si ritiro' in preghiera. Mentre prendo posto ad un banco, vedo il Don in ginocchio, chiuso in una intensa preghiera.
Grazie all'interessamento di Vittorio, troviamo ospitalita' presso il giardino di ulivi che sta di fronte all’orto del gestsemani. Un luogo tranquillo dove fermarci a meditare e pregare. Il commento al vangelo della resurrezione spetta a Nicoletta. Ci parla di Maria e di come sia rimasta colpita dal fatto che non vede il corpo di Gesu’: "Anche io, come lei, fatico a vedere Gesù nella mia vita. Pero' Gesu’ la chiama per nome e questo fatto di essere chiamati da lui, di essere conosciuti uno per uno, ognuno col suo nome... be' questo da una grande carica! Nonostante conosca le nostre debolezze e sappia tutto di noi, vuole ugualmente che il suo messaggio passi per le nostre mani. Anche da una donna come me. Non e' meraviglioso?". Effettivamente, quando ho sentito pronunciare il nome “Maria!” durante la lettura del passo di Giovanni, sono sobbalzato e mi sono commosso: come si fa a rimanere indifferenti ad un Dio che ti chiama per nome?
Prima di lasciare il giardino, il Don ci invita a raccogliere un pugnetto di terra, da portare a casa in ricordo dell'intesa esperienza di pellegrinaggio ai luoghi della passione di Gesu' che stiamo facendo. Io preferisco staccare furtivamente un ramoscello da una pianta di ulivo e mettermi in tasca una piccola pigna caduta accanto ai miei piedi.
Si fa ora di pranzo. Purtroppo, Ahmad non puo’ venirci a prendere col pullmann nel luogo convenuto e cosi' ci tocca fare una bella scarpinata a piedi, in salita, sotto il solleone dell’ora di pranzo. La prendiamo con filosofia: in fondo, siamo o non siamo pellegrini?
La prima tappa della Città Santa è la Cappella dell’Ascensione, sul Monte degli Ulivi, nella quale è conservata la roccia dalla quale, secondo la tradizione, Gesù è asceso al cielo davanti agli occhi attoniti degli apostoli. Il sito, di origine crociata, e' divenuto col tempo un luogo di culto islamico: proprio accanto alla cappella cristiana, infatti, è stata costruita una moschea. Vittorio ci spiega che anche i musulmani venerano Gesù, in quanto messaggero di Dio e anticipatore della venuta dell'unico grande profeta, Maometto. Quando Saladino conquisto' Gerusalemme, quindi, decise di convertire la cappella dell'ascensione di Gesu' a luogo commemorativo dell'episodio della salita al cielo compiuta da Maometto (vedi anche santurario della Cupola della Roccia). La visita dura lo spazio di pochissimi minuti, giusto il tempo di entrare, osservare la pietra vicino alla quale e' acceso un lumino e scattare una foto ricordo: fuori ci sono frotte di altri turisti, tra i quali un gruppo di vicentini particolarmente agguerriti e chiassosi. Vittorio e il Don ci avevano messo in guardia su come sarebbe andata questa giornata.
Percorriamo un breve tratto di strada, fino a raggiungere il chiostro di un monastero di frati carmelitani: secondo una antica tradizione, risalente al quarto secolo, in questo luogo Gesu' insegno' ai suoi la preghiera del Padre Nostro. Sulle pareti ci sono decine e decine di maioliche con il testo della preghiera tradotto in varie lingue e dialetti del mondo (Vittorio precisa che sono oltre 140). Piccola nota di costume: tra le tante, notiamo anche la versione in milanese e, in un altro angolo, quelle in emiliano, vicentino e napoletano. All'ingresso, sulla sinistra, si puo' ammirare anche una tavola in marmo con la preghiera trascritta in aramaico ed ebraico, le due lingue probabilmente utilizzate da Gesù durante la sua predicazione. C'e' molta gente, ma riusciamo a trovare un angolo, all'ombra delle piante, dove ritirarci in preghiera e meditazione. Entriamo a visitare l'antica grotta del Padre Nostro e li' intoniamo un canto.
Proseguiamo lungo la strada panoramica che corre sopra l'antico cimitero ebraico e, dopo aver immortalato suor Lucia in una simpatica posa a fianco di un dromedario, raggiungiamo un'ampia balconata panoramica, dalla quale possiamo godere di una splendida vista - davvero da cartolina! - sulle valli del Cedron e di Josafat (ai nostri piedi) e la citta' vecchia (propro di fronte), con il suo profilo di case antiche, cupole e torri e le imponenti mura. Curioso! Se non stessi in realta' parlando di Gerusalemme, un bergamasco potrebbe pensare che stia descrivendo citta' alta, non vi pare? In primo piano, la misteriosa porta d'oro (quella attraverso cui, secondo Ezechiele, passera' il Messia - Gesu' passo' di li' quando fu tradotto in citta' per essere giudicato dal sinedrio) e, piu' in alto, in cima alla collina di Moriah, la bellissima Spianata del Tempio, al centro della quale brilla, con il suo caratteristico tetto dorato, quel magnifico gioiello di arte moresca che e' il santuario della Cupola della Roccia. La "roccia" e' la mitica pietra vicina alla moschea remota (= Gerusalemme) da cui Maometto sarebbe asceso al cielo per il suo viaggio notturno (Al Isrâ'), durante il quale incontra Abramo, Mose', Gesu' e sale fino al cospetto di Allah. L'episodio e' raccontato nella diciassettesima sura del Corano ed e' cosi' venerato da fare di Gerusalemme la terza citta' santa dell'Islam. Secondo la tradizione ebraica, invece, la roccia e' invece la pietra su cui Abramo stava per compiere il sacrificio del figlio Isacco (per i musulmani, si trattava di Ismaele, ndr) prima che Dio gli facesse trovare un ariete impigliato in un cespuglio.
Quante suggestioni! Rievochiamo l’arrivo di Gesu’ a Gerusalemme: vedendo la citta’ si commuove e ne profetizza la fine. Anche il Don sembra partecipare della tristezza di Gesù e con una punta di amarezza ci fa notare come la storia ci stia svelando la triste realizzazione della sua profezia. L'occasione e' ghiotta per una bella foto di gruppo. Da sinistra a destra e dall'alto in basso: Massimo (girato...), Claudio, Luciano, Brunella, Dirce, Lucia, Tina, Manu, Luca "Biste", Nicoletta, Manuela, Franca "Frankieeeee", 'Ciano (il Don), Luca "Ciuicì", Giannina, Dino, Beppe "Ciccio", Silvia, "la" Roby, Bruno, Stefania, Luisa, Antonio, Laura, "il" Roby. Poso il mio quadernetto di appunti per terra e Luca, che mi stava osservando, si inventa un soprannome anche per me: il "Bruno Raschi" della compagnia. Al mio sguardo interrogativo, risponde chiarendo che si tratta di un memorabile giornalista della gazzetta dello sport. Detto da un gran ciclista come lui, lo prendo senza altri indugi come un complimento.
La ripida discesa ci porta verso il giardino del getsemani. Sulla strada, pero', abbiamo l'occasione di guardare piu' da vicino le tombe del cimitero ebraico. Alcune sono antichissime, addirittura risalenti all’epoca del re Davide. Sopra molte tombe sono poste dei sassolini, secondo la tipica usanza della religione ebraica. Vittorio ci spiega che essere sepolti, per gli ebrei, e' un grande privilegio: da ogni parte del mondo, piovono richieste di prenotazione di un pezzo di terra, dove essere sepolti al momento del decesso (con non pochi affanni dei familiari, che devono organizzare il trasporto della salma, magari, dall'altra parte del pianeta!). Quello della sepoltura e’ un servizio gratuito, qui come in tutti i cimiteri ebraici: non si usano bare, ma si viene sepolti e ricoperti da qualche centimetro di terra e da lastre di pietra. I corpi non vengono esumati, come nei nostri cimiteri: e' per questo che si sono conservate tombe così antiche. I parenti più stretti partecipano al rito funebre, l'uomo di casa (ma anche la donna, volendo) normalmente fanno un discorso commemorativo. Ad un anno di distanza esatto dalla scomparsa del caro defunto si celebra un secondo rito, per la quale e' fatto obbligo ai figli di partecipare. Ma per quale motivo gli ebrei desiderano tanto essere sepolti proprio in questo cimitero? Vittorio ci svela anche questo mistero: la valle di Josafat è il luogo nel quale, secondo il loro credo, avverra’ il giudizio universale (Jeoshaphat in ebraico significa infatti "Dio giudicherà"). Un po' come la collina di Megiddo (o Armaghedòn) per i cristiani, insomma.
Ed eccoci al getsemani. Attono alla meta' del '600 i francescani acquistarono l'orto degli ulivi, il giardino dove, secondo il Vangelo, ha inizio la passione di Gesu'. Oggi si possono ammirare delle piante di ulivo secolari, di un fascino sublime. Chiaramente non si tratta degli stessi ulivi di allora, ma e' probabile che derivino dalle stesse radici. La bellezza mistica di questo luogo lascia senza parole. Il silenzio è rotto solo da sussurri. Superato il giardino, visitiamo la Basilica dell’Agonia, dedicata alla passione e al dramma umano vissuto da Gesù: il colore che domina l'interno della chiesa e’ il viola (davvero di grande effetto! L'estro dell'architetto Barluzzi, questa volta, sembra avere centrato in pieno l'obiettivo voluto). L'atmosfera che si respira tra i fedeli e' di grande raccoglimento; di fianco all'altare, alcune donne con la faccia rivolta verso terra abbracciano la pietra su cui Gesu’ si ritiro' in preghiera. Mentre prendo posto ad un banco, vedo il Don in ginocchio, chiuso in una intensa preghiera.
Grazie all'interessamento di Vittorio, troviamo ospitalita' presso il giardino di ulivi che sta di fronte all’orto del gestsemani. Un luogo tranquillo dove fermarci a meditare e pregare. Il commento al vangelo della resurrezione spetta a Nicoletta. Ci parla di Maria e di come sia rimasta colpita dal fatto che non vede il corpo di Gesu’: "Anche io, come lei, fatico a vedere Gesù nella mia vita. Pero' Gesu’ la chiama per nome e questo fatto di essere chiamati da lui, di essere conosciuti uno per uno, ognuno col suo nome... be' questo da una grande carica! Nonostante conosca le nostre debolezze e sappia tutto di noi, vuole ugualmente che il suo messaggio passi per le nostre mani. Anche da una donna come me. Non e' meraviglioso?". Effettivamente, quando ho sentito pronunciare il nome “Maria!” durante la lettura del passo di Giovanni, sono sobbalzato e mi sono commosso: come si fa a rimanere indifferenti ad un Dio che ti chiama per nome?
Prima di lasciare il giardino, il Don ci invita a raccogliere un pugnetto di terra, da portare a casa in ricordo dell'intesa esperienza di pellegrinaggio ai luoghi della passione di Gesu' che stiamo facendo. Io preferisco staccare furtivamente un ramoscello da una pianta di ulivo e mettermi in tasca una piccola pigna caduta accanto ai miei piedi.
Si fa ora di pranzo. Purtroppo, Ahmad non puo’ venirci a prendere col pullmann nel luogo convenuto e cosi' ci tocca fare una bella scarpinata a piedi, in salita, sotto il solleone dell’ora di pranzo. La prendiamo con filosofia: in fondo, siamo o non siamo pellegrini?
1 commento:
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