venerdì 25 aprile 2008

Back to Italy

Sveglia prima dell’alba (alle 4:30), stavolta siamo io e Manu ad arrivare in ritardo in pullmann. Le partenze non mi sono mai piaciute, figuriamoci questa, dopo una settimana tanto particolare e intensa! E poi ho dormito meno di quattro ore. Ieri sera, all'alba di mezzanotte, infatti, Tina s'e' accorta di aver smarrito i biglietti aerei di ritorno per se' e Roberta e chiaramente s'e' fatta prendere dall'agitazione. Davanti a lei, in quel momento, c'eravamo io e il Don e ce n'e' voluta per rassicurarla e convincerla ad andarsene a letto tranquilla, che tanto una soluzione l'avremmo trovata. E giusto per portarci avanti, abbiamo chiamato la sciura dell'agenzia viaggi di Bergamo, che gentilmente ci ha consigliato sul da farsi.

Arrivati in aereoporto, sono scattate le ultime foto di rito. Un paio pure con il buon Ahmad (da pronunciarsi con la "h" catarrosa: se avete dubbi chiedete a Biste, che ha sviluppato un certo orecchio per la fonetica araba), che nel corso della settimana si e' rivelato essere persona di grande sensibilita' e gentilezza d'animo. Un esempio - ma chissa' quanti altri ce ne sono in giro per la Palestina - di musulmano che lavora a fianco di guide israeliane e al servizio del turismo religioso cristiano con grande serieta' e rispetto. Purtroppo, al telegiornale questo tipo di storie non fanno notizia.

Cerchiamo la zona del check-in (particolarmente severo ed elaborato!) e scopriamo che il volo e' stato posticipato di due ore: in pratica, abbiamo la bellezza di cinque ore davanti, da ammazzare in qualche modo. Sbrigate le pratiche per l'imbarco, prendiamo possesso delle comode poltrone della grande sala d'aspetto (quella con al centro la fontata-sciaquone) e cerchiamo di dormicchiare un po'. Qualcuno propone uno spuntino da zio Mc, altri sfogliano le guide turisticche che avrebbero voluto leggere strada facendo, mentre qualcun altro si avventura per negozi, non pago della grande incetta di sali, creme e crocefissi dei giorni scorsi.

Scambio le ultime chiacchiere con Luciano e scopro che, oltre alla passione per i pacchetti software di elaborazione delle immagini, abbiamo in comune un bel po' di esperienze nello stesso ambito lavorativo. Per poco non ci siamo incontrati sul campo. Da una parte, quasi mi stupisco del fatto che dietro questi pellegrini ci siano persone della vita reale; dall'altra, mi accorgo che l'incanto del viaggio, ormai, e' finito. Siamo proprio scesi da quel pullmann. Di piu'. L'aereoporto, contrariamente alla sua naturale funzione, sembra averci riportato un po' tutti coi piedi per terra.

A Brescia, questa sensazione e' ancora piu' netta; tuttavia, c'e' in molti di noi c'e' ancora tanta voglia di scherzare e di gustarsi le ultime battute di un coro ormai affiatato.

Arriviamo a Monterosso. Baci e abbracci fra tutti, con la solenne promessa di rivederci presto. Nel cuore, ho un grande senso di pace e gratitudine. E tanta, tanta voglia di raccontare...

giovedì 24 aprile 2008

Ultima messa

Ci prepariamo a celebrare l'ultima messa in Terra Santa nella bella terrazza dell'hotel. Bello. Abbiamo visitato decine fra basiliche, cappelle votive e santuari, macinando chilometri dal nord al sud del paese, eppure c'e' sempre una chiesa ancora da visitare, dentro cui fare festa e quella chiesa siamo noi. Il pellegrinaggio, da questo punto di vista, non finisce mai, anche se l'emozione e la tensione che si respira nell'aria, sembra dirci il contrario.

Questa sera s'e' levato un vento freddo. Scendo a prendermi una maglia, mentre le donne preparano con cura l'altare, utilizzando una tovaglia bianca e dei fiori presi a prestito da due o tre camere. Il Don predispone le particole dentro ad un piccolo calice, che deve pesare come il piombo, visto che e' l'unico oggetto che sembra non avere alcuna intenzione di volare via. Il nostro andirivieni finisce con lo scoraggiare il gruppo di francesi che si era riunito nella stanza che da sulla terrazza. Ne approfittiamo per occupare anche quella e sistemare le candele, che non possono rimanere accese con quest'aria gelida. Le infiliano ordinate una vicina all'altra dentro cocci di ceramica, formando il disegno di una croce. Quando tutto e' pronto, spegniamo la luce della stanza e accendiamo le nostre "lampade"; quindi, seguiamo il Don il processione cantando e prendiamo posto in terrazza. Di fronte a noi, il dolce scintillio delle luci di Betlemme.

Le candele rimangono accese per poco, qualcuno difende strenuamente la piccola fiamma. Nel tentativo di riaccendere la mia, impiastro di cera le mani di Manuela e il pavimento sotto le nostre sedie, scoprendo tra l'altro che non si tratta di normale cera, bensì di una cera fatta di olio profumato, molto difficile da rimuovere! Un disastro. La messa si dipana tra canti e preghiere, leggiamo diversi brani del vangelo, in vari punti della celebrazione, per dare modo a chi manca di fare la propria riflessione.

A Biste tocca il brano della guarigione del cieco nato. Nel riflettere su questo brano, Luca spiega di essersi immedesimato con il cieco, che qui e' la figura piu’ importante. Un uomo pronto a riconoscere chi lo aiuta e a difendere il suo benefattore di fronte a quanti lo accusano. Sa rendere onore e sa anche ringraziare: "Cosi’ anch'io ringrazio voi ed in particolare Marina e Luciano, che nei momenti di buio hanno saputo donare luce alla mia vita". Chiude con una riflessione originale sul fango: Gesu' lo usa per guarire, Dio per creare l’uomo. Il Signore vede bellezza anche nelle cose piccole, umili. Marina, nel frattempo, ci propone una sua personale interpretazione del diluvio universale (leggi = lacrime a profusione).

A Beppe tocca il commento del brano dell'adultera. Lo colpisce la pacatezza di Gesu’, che, dopo aver scelto il bene a discapito delle regole scritte, rimane tranquillo di fronte alle provocazioni dei farisei. Com'e' difficile saper perdonare!

Giannina ha il brano che racconta l'incontro con Maria di Betania. Quanta emozione nella sua voce! Inizia parlando del coraggio di Maria, poi ringrazia tutti, dicendo: "Questo viaggio mi ha riempito dentro".

Bruno ci regala la sua riflessione sul brano della presentazione al tempio, dal quale coglie principalmente due aspetti. Il primo e’ quello della sacralita’ della vita: i figli non ci appartengono e devono percorrere liberamente la loro strada. L’altro ha a che fare con l'atteggiamento di Maria, descritto in piu' passi del Vangelo: "serbava tutte queste cose dentro di se". Anch’io, spiega Bruno, non sono abituato a manifestare i miei sentimenti e mi tengo dentro sensazioni e pensieri. Anche per questo, ieri, ho reagito alle vostre manifestazioni di entusiasmo, con un'uscita di segno opposto. Mi scuso ancora se, senza volerlo, ho offeso qualcuno.

A Roberto spetta il brano della buona samaritana. Parte spiritosamente facendoci notare che Gesu’ chiede dell'acqua con dei modi un po' bruschi. Poi, si fa serio e aggiunge che Gesu' non era li’ per caso, cosi' come non e' una caso che questo brano sia arrivato nelle sue mani. Mi stupisco, continua Roberto, del fatto che la donna accetti subito il dialogo con il Signore: nonostante che ci separino 2000 anni di storia e civilta', mi sento piu’ ottuso di lei! Avrei accolto anch’io il Signore in modo cosi' pronto? Se non lo facessi, perderei tanto. Vorrei saper essere come lei, che non si vergogna della sua condizione di peccatrice e corre al villaggio per annunciare a tutti le meraviglie compiute dal messia.

"Un gesto bello e’ un gesto buono". Queste le parole del Don, prima di compierne uno davvero particolare che ha il profumo della consacrazione. E "profumo" è il termine più appropriato, poichè, passando da ciascuno, ci unge le mani con olio profumato, chiamandoci per nome. Ed è emozionante sentirsi chiamare per nome, perche' richiama quel passo del vangelo della resurrezione che mi aveva gia' fatto venire i brividi un paio di giorni fa. Alla Roby, la nostra super-chierichetta, il compito di ungere le mani del Don. Torneremo a casa profumati. Tutti.

Anche Don Luciano tira le fila del pellegrinaggio: le sue parole sembrano quasi una confessione. Nonostante gli incidenti di percorso, che non gli hanno permesso di preparare tutto quello che avrebbe voluto, il pellegrinaggio è stata l'esperienza che lui si era immaginato. Da tempo pensava a questo viaggio come il modo per salutare la sua comunità. Ma ora Dio ha scombinato di nuovo le carte e a lui, in fondo, sta bene cosi'. Anche questa è grazia di Dio, quell'aiuto nei momenti difficili di cui ci parlava Suor Lucia alla piscina probatica.

Le parole del Don ci incantano, una volta di piu'. Claudio e Luca gli manifestano apertamente la loro gratitudine per quanto ci ha saputo dare nell'arco di questi sette giorni di cammino spirituale comune. Se in questo pellegrinaggio abbiamo visto il volto di Cristo, e' perche' da qualche parte ce lo ha disegnato Don Luciano, con la sua mano ferma, con l'esempio concreto e le parole, con i canti e gli stimoli continui alla preghiera, alla meditazione delle scritture, con i gesti preparati con cura, prima della partenza e con la sua gioia traboccante di Gerusalemme. E' il pensiero di tutti e tutti gliene siamo infinitamente grati.

La serata sembra finita e invece il Don si ricorda che c'e' ancora un'ultima riflessione da sentire. Tocca a me il compito (gravoso, dopo gli attimi di perfetta armonia col gruppo vissuti dopo le parole del Don) di chiudere il giro con il commento al brano dell'incredulita' di San Tommaso. Tommaso... il discepolo al quale, crescendo, ho finito con l'assomigliare di piu', visto che faccio fatica a credere alle cose di cui non ho una chiara evidenza ("sono uomo di numeri..."). Il pellegrinaggio mi ha fatto, tuttavia, riscoprire - anche attraverso la sofferenza provata sul lago di Tiberiade - la bellezza delle verita' che sono scritte dentro il nostro cuore. Verita' ignorate, dimenticate o sconosciute all'uomo di oggi che e' tutto proiettato all'esterno, cioe' a cio' che per molti versi sta in superficie. Verita' da coltivare, per riuscire, un giorno, a salire quell'ultimo gradino che manca per avere completa fiducia in Dio.

Manu dice che dopo tanto volare alto, ci voleva qualcuno che riportasse tutti con i piedi per terra.Rompiamo le righe e il primo che mi avvicina e' Antonio, che, con fare complice e sogghignando, mi dice: allora non ero solo io, l'unico infiltrato qui dentro?!? Celebriamo con applausi le date importanti per ciascuno di noi: compleanni e anniversari (tra cui quello di Bruno e Luisa). Ma la festa piu' grande e' riservata a Suor Lucia: 25 anni di consacrazione non sono mica uno scherzo! Taglio della torta e bibite per tutti. Cosa si puo' volere di piu'?

L'orfanotrofio di Sœur Sophie

Tornati a Betlemme, le nostre richieste di extra-shopping vengono esaudite. Akmad ci accompagna in un negozio gestito da amici cristiani, il Good Shepherd's Store, che espone un vasto assortimento di merci, che variano tra il sacro e il profano (fanghi, cosmetica, etc...). I prezzi sono buoni e facciamo qualche affare sia dentro che fuori in cortile, dove ci inseguono i soliti venditori ambulanti. Due di questi si mettono anche a litigare (pure Dirce ne paga le spese), perchè uno dei due promette della mercanzia ad un prezzo troppo ribassato. Qui non si contratta sul prezzo del singolo pezzo, ma sulla quantita' di articoli che si puo' portare via per una certa somma: 10 euro, ad esempio, si possono comprare dalle 5 collane alle 7 o anche 8 collane. Naturalmente, tutto a quanto si e' abili nel trattare.

Una volta rientrati in Hotel, Sœur Sophie (la suora responsabile della casa in cui alloggiamo) ci fa una grande sorpresa: ci viene consentito di visitare l'orfanotrofio "La Creche", attiguo all'albergo (la struttura si trova vicino alla Eglise de l'Hòpital Francais de a Sainte Famille). La seguiamo fino all'uscio dove un piccolo mare di occhietti curiosi ci spiano in bell'ordine. Appena entrati, la suora inizia a spegarci come funziona l'orfanotrofio: accoglie bambini da 0 a 6 anni, abbandonati o in situazioni di forte disagio (violenze). Dopo i sei anni i bambini vengono affidati a strutture statali perchè possano studiare. Per ogni bambino che incontriamo, la suora ha una parola affettuosa e una carezza. Di ciascuno musetto, la suora racconta una storia terribile o triste, con la forza d'animo di chi ne ha viste tante e altrettante volte ne e' uscito fuori. Ci sono due bambini, fratello e sorellina, che sono arrivati perchè lasciati a vagare in mezzo alla strada dai genitori, erano stati picchiati e la bambina aveva subito violenza. Il maschietto ha più di sei anni, ma non vuole andare via per non lasciare la sorellina. Dovrà comunque passare alla nuova struttura statale entro settembre. I bambini, via via che passano i minuti, prendono confidenza e i più disinvolti si mettono a spingere Manu in giro per il corridoio. A turno, uno spinge e un altro si fa prendere in braccio. Si rompono gli indugi. Un gruppo di nanetti scalmanati rapisce Massimo, che ha il suo bel da fare per tenere testa ad un gioco da cortile. Nonno Luca racconta favole in bergamasco, mentre Silvia fa volteggiare una pupetta. In un attimo, ciascuno di noi ha un bambino in braccio o quantomeno e' impegnato a giocare con macchinine, palle e fotografie. Mi carico un bambinetto sulle spalle e me lo porto in giro a destra e manca, con grande invidia degli appiedati che mi seguono passo passo, invocando il loro turno (una faticaccia esagerata!). Il cavalluccio piace: ad un certo punto, Con Beppe, Massimo e altri formiamo un trenino che scatena grande ilarita' tra i nostri piccoli amici.

Manuela, Nicoletta, Marina e Biste, nel frattempo, seguono Sœur Sophie nel reparto dei bambini più piccoli. A turno, prendono fra le braccia una ranina tutta rossa di capelli, di tre settimane appena, con una storia raccapricciante alla spalle: la madre, violentata dal suocero, è stata ripudiata dal marito e lei è la creaturina che ne è nata. Dorme tutto il tempo, non fa un verso. Ed è così piccola... In un angolo, un bambino di tre giorni, con una selva di capelli nerissimi ed una gran voce, invoca due coccole e, credo, la pappa. Ha un grave difetto cardiaco, ci racconta Sœur Sophie, e difficilmente si riuscirà a farlo operare. Un altro bambino cerca di sollevarsi in una culla: ha lo sguardo un po' spento. E' uno di quei bambini che nascono da rapporti tra parenti stretti (da queste parti, abbastanza comuni) ed e' nato con un ritardo mentale. Ha uno splendido sorriso. Chiunque passi accanto alla culla successiva, rimane invece rimane stregato dagli occhioni grandi di una bambina di poco più grande, che studia con attenzione chiunque le si avvicini.

Tra i tanti bambini con cui faccio conoscenza, ce n'e' una che mi ha presa e non vuole lasciarmi piu'. Si tra una bambina paralitica, perchè rimasta troppo a lungo all'adiaccio, nella notte in cui venne abbandonata. Purtroppo, si e' fatto tardi e dobbiamo salutarli, per cui decido di regalarle la mia croce, quella che avevo al collo dal battersimo sul Giordano. E' una bella bambina, guarda la croce e la mostra alle sue amiche. Io mi allontano, assieme al resto del gruppo. Nello stesso edificio che abbiamo appena visitato, di fianco all'ingresso dell'orfanotrofio, troviamo il negozio di souvenir gestito dalle suore francesi. Siamo appena stati a far compere, ma non c'è nessuno che si tiri indietro: lo shopping e' sacro, soprattutto quando fare regali puo' essere di aiuto agli angioletti di Sœur Sophie.

Qumran e Mar Morto

Ed il settimo giorno, Dio si riposo'. E anche per la nostra comitiva, dopo sei giorni di peregrinazione e intense preghiere, giunge il momento del meritato riposo. La giornata sul Mar Morto e', infatti, pensata per soddisfare tutt'altro genere di gusti ed esigenze dello spirito: svago, sole, mare e l'immancabile shopping. Non per questo, tuttavia, cambiano le abitudini: sveglia alle sei e mezza, colazione abbondante e alle sette e mezza precise, tutti sul pullmann per la partenza. Durante il tragitto da Betlemme al Mar Morto, vediamo pian piano mutare il paesaggio fuori dai finestrini, fino a che non diventa completamente brullo. Stiamo attraversando un deserto. La guida ci indica alcune dune sulle quali è indicata l'altitudine rispetto al mare e ci da un dato interessante: siamo partiti passando per Gerusalemme, che si trova a +800 m s.l.m. e scenderemo sulle rive del Mar Morto, fino ad un livello di -400 m s.l.m. (la depressione piu' profonda del mondo), per un dislivello totale di 1200 m. Alcune dune mostrano strati di diversi colori, che indicano lo stratificarsi del sale nei diversi anni, perchè qui un tempo c'era il mare.

La nostra prima tappa e' Qumran, il sito archeologico nel quale sono stati rinvenuti i famosi "rotoli del mar morto". Furono scoperti nel 1947 da un pastore, dentro vasi di terracotta trovati per caso all'interno di una grotta. La leggenda vuole che questo pastore stesse cercando una capra che si era smarrita; gettando sassi qui e la', nella speranza di farla spaventare e quindi smuovere, senti' improvvisamente un ruomore sordo provenire da una buca nel terreno. Uno di questi sassi, infatti, aveva rotto un vaso nascosto all'interno di una cavita' nascosta e contenente decine di altri vasi e rotoli antichi. L'uomo, valutato che si trattava di pelle di capra arrotolata, li vendette ad un calzolaio, convinto che ne sarebbero venute fuori buone scarpe. Fortunatamente, i rotoli sono stati invece riconosciuti per quello che realmente erano e valevano: una delle piu' grandi scoperte archeologiche del secolo scorso. Vengono i brividi a pensare che i testi biblici ritrovati qui sono di mille anni piu' antichi di quelli che si ritenevano essere i piu' antichi mai arrivati ai giorni nostri. Emozina il fatto che mettendo a confronto versioni del testo biblico cosi' lontane fra loro nel tempo, gli studiosi non abbiano riscontrato praticamente alcuna significativa discrepanza. Oltre al Vecchio Testamento, vennero scoperte copie dei vangeli apocrifi.

Ma chi furono gli autori dei rotoli? Gli esseni, setta di asceti ebrei, che fondo' e visse a Qumran tra il secondo secolo ac e il I dc, quando (attorno al 68) fu dispersa per mano dei romani. Questi uomini (nessuna donna tra loro) sfuggivano alla decadenza della societa' ebrea del loro tempo, dimorando nel deserto. La loro vita era molto semplice: coltivavano lo stretto necessario per la sopravvivenza, studiavano e trascrivevano le sacre scritture e compivano rituali di purificazione, immergendosi piu' volte al giorno in grandi vasche d'acqua. E' incredibile come siano riusciti a costruire un sistema di canali capace di convogliare dentro al loro villaggio tutta la poca acqua che scorre giu' da queste aride montagne.

Torniamo sul pullmann, dopo aver fatto una buona scorta d'acqua. Col passare delle ore, il caldo e' sempre piu' opprimente. Raggiungiamo uno stabilimento balneario sulle rive del Mar Morto, dove ci aspetta un bel bagno... angosciante! La guida si premura di raccontarci nel dettaglio le cose terribili che succedono a chi si comporta male nelle acque del Mar Morto: perdita della vista, a causa di schizzi d'acqua negli occhi ("se succede, fatevi subito accompagnare da qualcuno fino alla doccia più vicina, che vi sarete premurati di individuare in anticipo"), l'irreparabile rovina della pelle del corpo, se si tiene per troppo tempo il fango addosso, etc. Forse, avendo intuito di aver seminato un po' troppa ansia dentro al gruppo ammutolito, la guida comincia a raccontarci le meraviglie di quest'acqua taumaturgica: la pelle si fa liscia e vellutata, i disturbi di circolazione sconfitti per sempre, i dolori articolari scompaiono, etc. Senza contare il divertimento unico di poter leggere il giornale comodamente seduti nell'acqua: si', perche' la salatissiam acqua del Mar Morto (la concentrazione di sali qui e' dieci volte quella della normale acqua di mare) sospinge il corpo verso l'alto e ci sembrera' di stare a galla senza fare un briciolo di fatica. Un po' confusi, ci avviamo verso la spiaggia. I piu' intrepidi si misurano subito con il terreno fangoso che c'e' a riva: difficile reggersi in piedi, ma GUAI a schizzare acqua! Oltrepassato l'ostacolo, i nostri eroi si immergono in acqua e, ridendo, confermano il miracolo del galleggiamento. Ebbene si', confermiamo che anche il Don galleggia! E anzi, dovreste vedere come ne e' soddisfatto. Il Roby va molto oltre e ci mostra come leggere il "giornale", comodamente seduti nell'acqua. L'ultima a fare il bagno è Manu, che decide di buttarsi dopo una rilassante pausa-fanghi. I nostri fotografi immortalano mostri di fango che emergono dai flutti entusiasti e beati per la pelle che si fa sempre più "lissia"! Si fa ora di pranzo e, a malincuore, facciamo ritorno al pullmann.

Al Temptation si mangia bene, ma si spende male: i prezzi sono salati come l'acqua del Mar Morto. Chiediamo al Don di prevedere un'ulteriore tappa-acquisti in quel di Betlemme. Il pullmann riparte e ci porta fino alle pendici del Monte delle Tentazioni, sul quale sta abbarbicato un monastero greco-ortodosso. La sua principale funzione, da quando e' nato, e' sempre stata quella di assistere e sostentare i monaci e gli asceti rintanati in preghiera nelle grotte presenti lungo tutto il costone della montagna.

Di Gerico, ultima tappa della nostra gita sul Mar Morto, purtroppo non so dirvi un gran che. Ricordo che ho fotografato dal pullmann un gran Sicomoro (quello di Zaccheo, ndr) e di aver ascoltato qualcosa a proposito degli strati della citta' antica (tel) che stanno rinvenendo dagli scavi archeologici di questi ultimi anni. I 42 bollenti gradi di temperatura esterna mi hanno stordito: la palpebra cala e resta chiusa fino al rientro a Betlemme.

mercoledì 23 aprile 2008

La via dolorosa

Pausa pranzo in un una saletta riservata di un lussuoso hotel-ristorante di Gerusalemme. I camerieri sono talmente gentili, che alla fine ci riempono con acqua fresca le nostre bottigliette vuote. Nel frattempio chiamo in ufficio per organizzare una trasferta a Stoccolma, a seguito degli accordi presi dal mio capo con la nostra controparte svedese. La partenza e' fissata per domenica e non avro' praticamente il tempo di disfare le valigie della Terra Santa. Finito il pasto, ci viene concessa una mezz'ora di relax. Molti di noi ne approfittano per una pennichella in poltrona, mentre altri fanno chiacchiere. Si fa l'ora di andare ed e' si fa anche l'ora dei saluti: Vittorio ci lascia definitivamente. Nonostante il carattere ruvido e, a tratti, persino un po' brubero, in cinque giorni s'e' guadagnato la stima e il rispetto di tutto il gruppo: preparatissimo, discreto e nello stesso molto tempo attento alle nostre esigenze. E' con gratitudine che uno ad uno passiamo a stringergli la mano. Al suo posto, ci viene presentata una signora assai simpatica, con un grande sorriso aperto, che - fin dai primi istanti - sembra promettere cose buone. A lei l'arduo compito di guidarci lungo la Via Dolorosa.

Inutile e impossibile descrivere le emozioni, personalissime, che si vivono quando la si percorre. La Via Dolorosa, con la visita finale della Basilica del Sepolcro, sono la meta e il centro di tutto il pellegrinaggio. L'ultima tappa di un percorso interiore prima che esteriore. Perche' fossimo preparati al meglio, questa mattina il Don ci ha letto una pagina di diario di un sacerdote bergamasco, che fu pellegrino in Terra Santa una quindicina di anni fa. Oggi come allora, questo il senso del racconto, non sara' facile pregare per la via crucis, sede di in un mercato arabo, tra l'indifferenza se non proprio l'ostilita' della gente, tra i rumori e gli spintoni, tra gli schiamazzi dei bambini e il mercanteggiare dei negozianti. Tuttavia, possiamo accogliere tutto questo in silenzio, come Gesu' seppe accogliere la croce su di se' e portarla fino al calvario. Anche questo e' un modo per sentirsi in comunione con Dio.

In silenzio cominciamo la nostra processione. Da non credere, quello che ci ha detto la guida è vero: ci sono persone che affittano delle croci per fare la via crucis. La prima e la seconda stazione si trovano relativamente riparate: affacciano entrambe su un cortile interno di un edificio. Ci sistemiamo nella Cappella della Flagellazione, dove leggiamo la prima e la seconda stazione della via crucis. Sul pavimento, ci viene mostrata una pietra che faceva parte dell'antica strada lastricata dei tempi di Gesu'. La guida ci indica anche alcuni segni di giochi (tipo il nostro "tris") tracciati dai soldati romani, che cosi' vincevano la noia durante i lunghi turni di guardia. Concludiamo il momento di preghiera con un canto. Per la strada, incontriamo il monastero dell'Ecce Homo, in cui e' conservata la balconata da cui si affaccio' Pilato per presentare Gesu' alla folla. Qui fu decisa la sua condanna a morte. Attraversiamo un suq variopinto e movimentato. Purtroppo, molte delle cappelle successive sono chiuse e non ci resta da fare altro che fermarci ai bordi della strada, in angoli appartati (ma spesso anche in mezzo ai piedi...), dove recitare le preghiere delle stazioni della via crucis e cantare. La gente ci guarda e i bambini ci corrono attorno, ma nessuno sembra stupirsi per quello che facciamo. E' strano. Probabilmente, nella cattolicissima Italia ci prenderebbero per pazzi e forse qualcuno potrebbe pure risentirsi, prendendo le nostre preghiere come un atto violento nei confronti di chi non crede.

Giungiamo finalmente alla Basilica del Santo Sepolcro e, prima di entrare, ci inginocchiamo in segno di ringraziamento. Da sedici secoli i pellegrini cristiani giungono qui da ogni parte del mondo, per adorare i luoghi della croce e della resurrezione di Gesu'. L'emozione e' al culmine. Come accade nella Basilica della Nativita', anche la Basilica del Santo Sepolcro è suddivisa in aree gestite da diverse chiese: greci-ortodossi, armeni, cattolici (francescani) e copti. La difficile coabitazione tra queste fazioni impedisce una gestione adeguata della struttura, che appare disordinata, disorganizzata e per certi versi malconcia (la cupola che sovrasta il sepolcro sono completamente anneriti dal fumo delle candele, ma da tempo immemore non si trova un accordo per procedere alla pulizia). All'ingresso si trova la Pietra dell'Unzione, sulla quale, secondo la tradizione, sarebbe stato unto il corpo di Gesù, prima della sepoltura. Molte donne pregano con fervore su di essa, cospargendo olio profumato e strofinando come a lucidarla: un rito greco-ortodosso.

Ci dirigiamo quindi verso una stretta e buia scalinata, che conduce verso la sommita' della collina del Golgota: un monticello di terra che si puo' paragonare a quello che si trova sulle mura di Città Alta, all'altezza della prima curva dopo Porta San Lorenzo (o Garibaldi). Chiaramente, la collina non si vede piu', poiche' è tutta avvolta all'interno della monumentale struttura che vi e' stata edificata attorno. Un enorme blocco di marmi e ori. In cima alla scalinata, oltre la cappella francescana, c'e' l'altare costruito sul luogo in cui la regina Elena rinvenne la sede della croce. Ci mettiamo in coda ad una folla di pellegrini, pigiati gli uni contro gli altri. Si sente un gran baccano. Tre donne a capo coperto spintonano gridando qualcosa, intuiamo che vogliono a tutti i costi passare avanti e le lasciamo andare. Poi, ci mettiamo in riga e formiamo una specie di muro umano, imponendo che si rispetti la fila. Naturalmente, in tutto questo non è facile mantenere quel briciolo di spiritualità che si dovrebbe avere di fronto ad un luogo come questo. Molti guardano la croce che sorride di queste nostre fatiche. Per fortuna la via crucis ci ha dato una sana dose di pazienza e, chi riesce, si chiude in un silenzio interiore. A turno, ci chiniamo sotto l'altare per baciare il punto in cui venne piantata la croce e ci allontaniamo appena in tempo, prima che arrivi una processione di francescani e che la cappella venga temporaneamente chiusa.

La fila di pellegrini che troviamo davanti al Santo Sepolcro e' anche piu' scoraggiante: ad occhio e croce, quella che abbiamo di fronte e' una coda da circa un'ora e mezza d'attesa. Dovendo celebrare la messa tra meno di un'ora, decidiamo di rimandare la visita al sepolcro in un momento successivo. Siamo liberi di girare o meditare o, semplicemente, riposarci nei paraggi. Il peso della giornata (tra le altre cose, caldissima: il termometro all'ora di pranzo segnava 41 gradi), in effetti, inizia a farsi sentire. Decido di girovagare per la Basilica, finche' trovo un posto tranquillo dove leggere la mia lonelyplanet.

La messa che celebriamo è semplicemente sublime e commovente, per il senso di comunione che riusciamo a creare. Nell'attimo in cui ci stringiamo tutti attorno all'altare sento rompersi un equilibrio e, anche per me, arriva il tempo delle lacrime. Massimo intona, senza musica, l'Exultet e ci regala un altro momento speciale. Nelle intenzioni che recitiamo ad alta voce, ricordiamo tutti coloro che sono rimasti a casa e che ci hanno raccomandato una preghiera, i nostri morti, Don Remo, che sappiamo stare un po' meglio. Ma preghiamo anche per noi, perche' questa nostra esperienza porti dei frutti. Questo e' un luogo santo: le preghiere arrivano molto più in alto... Passiamo di nuovo accanto al sepolcro, ma la fila è sempre quella, o forse peggio. Rinunciamo, ma qualcuno ci tiene troppo per non provarci. Manu riesce a passare avanti e con lei ci sono Beppe, il Roby e suor Lucia: una piccola comitiva in rappresentanza di titto il gruppo! Una volta usciti, abbracciano tutti noi che siamo rimasti fuori per trasmetterci un poco dell'emozione provata al cospetto di quel luogo santo.

E' sera. Ci ritroviamo di nuovo tutti sulla terrazza, per fare il bilancio di questa giornata e dell'intera settimana trascorsa insieme. In molti esprimono soddisfazione e si dicono sorpresi e felici dell'affetto che si è creato tra noi. Il Don segue con interesse i primi interventi, poi crolla per la stanchezza. Bruno tira la nota stonata: rispetta e ammira le sensazioni che in molti hanno provato, ma niente estasi per lui. La nostra Roby, non fa una piega e se la ride come sempre.

Gerusalemme vecchia

Ed eccoci arrivati al gran giorno. Davanti a noi, la porta di Jaffa, oltre la quale ci attende il quartiere ebraico e la parte piu' antica della citta' santa. Sono da poco passate le otto del mattino e la via di re Davide e' deserta, tutti i negozi sono chiusi, complice anche la settimana di festa per la Pasqua ebraica. Per poter accedere alla zona del Muro Occidentale (piu' famoso, in occidente, con l'appellativo di "Muro del Pianto"), dobbiamo sottoporci ad un check-in: persone e zaini vengono accuratamente osservati alla luce dei raggi-X e dei metal detector, come succede in aereoporto. Non e' certamente quello che si puo' definire un caldo benvenuto, ma oltrepassato l'ostacolo veniamo ripagati di una vista magnifica. Davanti a noi si apre una grande piazza, dal colore bianco abbagliante, su cui si affacciano case non molto alte, con archi e finestre tipiche dell'architettura israelita; in fondo alla scalinata, la pavimentazione digrada dolcemente verso il fondo della piazza, dove si erge l'imponente muro occidentale, l'unica porzione della cinta muraria esterna all'area del Tempio rimasta miracolosamente in piedi, dopo che Tito ne ordino' la completa distruzione.

Vittorio ci spiega che la dicitura "Muro del Pianto" è stata coniata in Occidente, per via di un malinteso: il pianto durante la preghiera, indusse a credere che gli ebrei cadessero in uno stato di profonda tristezza e sconforto, dovuto al ricordo della perdita del loro tempio piu' sacro. In realtà, il pianto deriva da sentimenti di gioia ed eccitazione per il fatto di poter essere li' a pregare, nel cuore della citta' di Davide. Molti uomini d'affari, che sono solo di passaggio a Gerusalemme, non mancano di fare una corsa in taxi fino a qui, per poter passare anche solo pochi minuti in questo luogo magico e speciale. Se fosse possibile, insomma, il western wall andrebbe soprannominato come "Muro della Felicita'". Cio' che colpisce maggiormente, in ogni caso, e' la grande concentrazione di uomini con folte barbe e riccioli cascanti (peyot), dall'abbigliamento nero elegante, con camicie bianche, cravatte e cappelli neri di varie fogge. Sono presenti anche molte famiglie, con numerosa prole; alcune si sistemano in posa alle nostre spalle per una foto ricordo. Mi sorprende il fatto che anche i bambini piu' piccoli indossino i vestiti della tradizione. Le donne indossano abiti scuri piu' leggeri di una sobria eleganza; anche le acconciature sono molto semplici. L'effetto complessivo ricorda la moda dei primi decenni del secolo scorso. Persino le ragazzine, in questo modo, sembrano avere l'aria delle donne mature.

In piazza, ci sono fontane per le abluzioni, con brocche a due manici. L'accesso al muro è diviso in due: uomini da una parte, donne dall'altra. Gli uomini si devono coprire il capo per avvicinarsi al Muro e ai turisti vengono forniti dei copricapi in cartone simili ai kippah degli ebrei osservanti. In realta', a noi basta indossare il berretto che ci e' stato donato dall'agenzia viaggi all'atto della prenotazione del viaggio. In mezzo a quella folla, mi sento come un marziano. Gli ebrei sussurrano i loro lamenti senza fare (apparentemente) troppo caso a me. Un cameraman dotato di una grande videocamera riprende da molto vicino gli chassidim che si inchinano ritmicamente in avanti verso il muro: ma come fa? Mi chiedo. Io provo vergogna a scattare quelle quattro foto che mi riesce di fare. Con circospezione e a mani giunte, mi avvicino il piu' possibile al muro, senza tuttavia toccarlo: ho come paura di profanare una cosa che non mi appartiene. Qualcuno, invece, lo abbraccia e lo bacia, ma non mi pare di veder scendere alcuna lacrima. Perlustro, quindi, le stanze dove si recitano preghiere in mezzo a scaffali pieni di bellissimi libri. Alcuni vecchi con il mantello sul capo (talet) sembrano i "Caifa" della situazione (il sommo sacerdote e capo del sinedrio che condanno' Gesu' a morte). Il tutto mi impressiona molto. Nel lato femminile, invece, donne e ragazze stanno sedute con stormi di bambiniin grembo e pregano guardando il muro. Qualcuna piange. Avvicinarsi al muro non è facile, alcune di noi infilano nelle fessure tra le pietre foglietti con preghiere. C'è anche una piccola libreria di legno con i testi per le preghiere. Uscite, ci avviciniamo ad una balaustra che dà sul lato riservato agli uomini giusto in tempo per vedere l'apertura di una antica e maestosa Torah.

Terminata la visita libera al muro occidentale, passiamo un secondo check-in e ci dirigiamo verso la Spianata del Tempio, cuore del quartiere musulmano. Qui siamo ospiti, ci ricorda Vittorio, spiegandoci le regole di comportamento alle quali ci dovremo attenere: non si mangia, non ci si tocca o abbraccia tra uomini e donne e l'abbigliamento deve essere decoroso. Attenzione a non fotografare le persone, soprattutto anziane che potrebbero irritarsi. Non avremo l'accesso al santuario della Cupola della Roccia, nè alla moschea: una volta era consentito, ma oggi e' un diritto esclusivo dei musulmani. Vittorio coglie l'occasione per spiegarci quali sono i cinque pilastri dell'Islam. Shahada, la professione di fede. Salat, l'obbligo alla preghiera rituale, che deve essere fatta 5 volte al giorno al richiamo del muezzin (prima dell'alba, a mezzogiorno, a metà pomeriggio, al tramonto e prima di mezzanotte). Zakat, fare l'elemosina ai poveri, che poi diventa il sostenere la comunita' islamica. Sawm, il digiuno durante il mese di Ramadan, che commemora la rivelazione del Corano a Maometto. I musulmani, dall'alba al tramonto, non possono far passare niente attraverso le labbra (cibo, acqua, anche il fumo) e si astengono dai rapporti sessuali. Hajj, il pellegrinaggio ai luoghi sacri della Mecca. Coloro che tornano possono avvalersi del titolo di hajji (pellegrino) e hajja per la donna (che può andarci solo accompagnata da un parente maschio) e possono dipingere sulle porte di casa un simbolo che ne dia testimonianza (spesso, la Ka‘ba).

La spianata del tempio è maestosa, lastricata di pietre, con aiuole geometriche rinfrescate dalla chioma degli alberi. Una scalinata centrale conduce davanti all'ingresso della magnifica Cupola della Roccia, che splende alle nostre spalle. Vittorio ci da qualche cenno storico, mentre un vecchio ambulante panzuto cerca di venderci a tutti i costi qualcosa: visto che non potremo vedere da vicino la famosa roccia, ci vuole convincere che le sue cartoline sono un buon affare. Vittorio ci indica anche le vasche per le abluzioni che, però, restano pudicamente nascoste al pubblico, ribassare rispetto al terreno. Mi vengono in mente la Mezquita di Cordoba e le belle vasche d'acqua per le abluzioni dell'Alhambra. Visto da vicino, il santuario della roccia è un gioiello ancora piu' splendente: rivestito di maioliche blu, verdi, gialle brillanti e sormontata dall'oro luccicante della grande cupola. Anche qui ci scappa una bella foto di gruppo. Dall'alto della spianata, tra le altre cose, si gode una bellissima vista sul Monte degli Ulivi.

Dopo una breve tragitto attraverso il quartiere musulmano, raggiungiamo la cosiddetta Piscina Probatica (e non acrobatica, come qualcuno asseriva :-)) o vasca di Bethesda: un bacino idrico lungo cinquanta metri per cinquanta metri di profondita', oggi vuoto. Vi si possono solamente ammirare i resti delle arcate che un tempo sostenevano le volte di un'antica basilica bizantina. La piscina aveva lo scopo di abbeverare gli animali e serviva anche come riserva d'acqua per la pulizia del tempio (bisogna considerare i numerosi sacrifici che gli antichi ebrei praticavano nell'area dell'attuale spianata). Attorno alla vasche, giacevano sempre molti infermi ed e' proprio qui che Gesù compi' la guarigione del paralitico. Il commento al brano di vangelo, spetta a Suor Lucia. Sembra che il brano sia finito proprio alla persona giusta, ci confida. Recentemente ho molto sofferto in prima persona a causa di un problema alla caviglia e ho anche sperimentato la paura di non poter più camminare, poiche' ci fu un errore umano in ospedale e venni curata male. Gesù, tuttavia, mi e' stato vicino e oggi sembra dire e me e a tutti noi: alzati, riprendi coraggio, anche quando sembra di essere di fronte al fallimento. Con l'aiuto della sua grazia, possiamo superare le prove che ci da il Signore.

A lato della piscina si trova la Chiesa di Sant'Anna, luogo nel quale la tradizione colloca la casa di Gioachino e Anna, i genitori di Maria, la quale avrebbe vissuto qui la sua infanzia. La chiesa è nota per la sua acustica strepitosa e noi ne approfittiamo per intonare qualche canto dedicato alla Madonna. Massimo e Manuela ci regalano anche un paio di strofe dello Stabat Mater, uno dei cavalli di battaglia del coro di Monterosso.

Ultima tappa per questa mattinata nella citta' vecchia è il Cenacolo, ossia la stanza dove venne consumata l'ultima cena, nonche' il luogo in cui nel giorno di pentecoste gli apostoli ricevettero lo spirito santo. In realta', non abbiamo certezze in proposito, ma la tradizione vuole che la stanza del Cenacolo sia collocata al piano alto della casa dove e' situata la Tomba del re Davide. Il sito è oggi di proprietà del governo ebraico, ma l'accesso e' libero e garantito per tutti i fedeli cristiani. Troviamo qui, infatti, molte comitive di fedeli (e non): il rumore e la confusione sono indecenti e non solo e' impossibile cantare, ma anche solo leggere il Vangelo o fare una piccola riflessione. il Don, pero', ci sostiene dicendo che non dobbiamo perderci d'animo. Poi, ci chiede di formare un cerchio e, improvvisamente, inginocchiandosi fino a toccare terra con la faccia, bacia i piedi a ciascuno di noi. Anche in quel caos, e' uno dei momenti più toccanti del pellegrinaggio.

martedì 22 aprile 2008

Betlemme

Betlemme, centro storico. Scendiamo dal pullmann e all'angolo di una grande piazza abbrustolita dal sole (Manger sq) incontriamo Gabriella, la nostra nuova-guida-per-poche-ore. Fin dal primo momento, la sensazione e' che sia anche piu' severa di Vittorio, in fatto di ritmi serrati e rispetto dei tempi (e ce ne vuole!). Ci fa strada fino al ristorante, ben sistemato ma semivuoto, dove siamo attesi per il pranzo. A tavola, qualcuno lascia trapelare un po' in ansia per la giornata di domani: Vittorio ci ha già preannunciato che grandi fatiche e la cosa, in effetti, e' scoraggiante visto che siamo già stravolti cosi', senza ancora avere completato il giro di oggi, con la visita di Betlemme! Per il resto, la sosta fila relativamente liscia. Solo qualche mugugnio da parte di Marina, quando ci viene servito il solito ricco pasto a base di riso e petto di pollo: ancora riso?!? Possibile che i questo paese non si mangi altro? Qualche piccolo problema anche con l'acqua in brocca, che deve essere stata prelevata dall'Acheronte (permettetemi questo vezzo letterario! ;-)), per quanto puzza di zolfo! Chi ha chiesto quella in bottiglia oggi l'ha proprio indovinata.

La prima visita del pomeriggio è dedicata alla grotta della nativita’ e alla Basilica che le e' sorta tutta intorno, anzi sopra, per la precisione. Si tratta della più antica chiesa cristiana, tuttora in funzione in Terra Santa. Si entra attraverso la porta dell'umilta', stretta e bassa per impedire che si potesse entrare in chiesa a cavallo. Gabriella ci fa notare gli scavi che nel 1934 rinvennero, almeno un metro e mezzo sotto il livello di quello attuale, l'originale pavimento a mosaico della chiesa costruita in questo sito nel IV secolo. Si entra attraverso la Porta dell'Umiltà, bassa e stretta perchè i cavalieri (e gli invasori) non vi passassero a cavallo. La basilica è oggi divisa tra alcune fra le principali anime del cristianesimo: cattolica (in questo caso francescani, arrivati qui per ultimi), greca-ortodossa e armena. Se in questa casa cosi' speciale ci fossero anche protestanti e anglicani, la famiglia si potrebbe considerare al completo. Mentre attendiamo il nostro turno per la discesa alla santa grotta, assistiamo ad una preghiera cantata da un religioso armeno, che si trova piu' o meno nel punto dove, a Natale, scoppiarono i tafferugli tra preti per via di un banalissimo sconfinamento durante le pulizie della chiesa. Due parole su questo curioso aspetto della convivenza tra diverse chiese cristiane nelle basiliche della Terra Santa.

Storicamente, le prime comunita' di fedeli in Terra Santa rispondevano a gerarchie greco-ortodosse; gli armeni, invece, furono invece il primo popolo a convertirsi al cristianesimo, all'inizio del IV secolo ed e' a partire da allora che iniziano le relazioni con i luogni santi della Palestina. La coabitazione tra chiese d'oriente e chiesa latina-cattolica e' una parentesi di duecento anni, durante l'epoca delle crociate e viene bruscamente interrotta con la conquista da parte del Saladino di Gerusalemme, quando le gerarchie latine vengono massacrate o espulse dalla Terra Santa. I francescani cominiciarono a tornare da queste parti a partire dal 1300 e da allora per i cattolici, gli armeni e i greci-ortodossi e' cominciata una storia secolare di convivenza, tentativi di esclusione e dissidi, risolta soltanto nel 1767 e poi, definitivamente, nel 1852 con l'emanazione dello Status Quo, una sorta di decreto che conferiva con meticolosa precisione porzioni di Basiliche all'una o all'altra Chiesa. Da allora, sono cambiate molte cose, l'impero turco si e' sgretolato, quei territori sono oggi teatro di scontri tra israeliani e palestinesi, ma i cristiani della Terra Santa proseguono la loro strana convivenza, fatta di litigi e scope che non devono spazzare oltre le linee immaginarie dello Status Quo.

Finalmente, scendiamo per una ripida scala, in fondo alla quale troviamo la grotta. Una stella d'argento, posta sotto un altare, indica il punto esatto dove, secondo la tradizione, nacque Gesù; a lato, la famosa mangiatoia dove fu deposto il bambino, per essere scaldato dal fiato degli animali. Ci inginocchiamo e, a turno, baciamo la stella. Si fa molta fatica a trovare la giusta concentrazione, per via della fretta con cui siamo spinti a compiere gesti, che non si fa tempo a meditare. Vorrei evocare dentro di me gli eventi di quella santa notte, ma non posso far altro che seguire la processione davanti agli altare di alcuni compagni di viaggio e a lasciare la grotta con la sensazione amara di un incontro venuto male.

La messa nella cappellina intitolata a San Girolamo, fortunatamente, restituisce quel senso di raccoglimento e intimita' di cui sentivo il bisogno. Ritrovo un po’ di pace. Il commento al brano di Luca della nascita di Gesu' spetta a Marina. Non avrei voluto questo brano, dice. E' troppo “normale”. Il centro della nostra vita religiosa e’ la Pasqua, in cui il Signore ha fatto delle cose grandi. Il Natale, al contrario, è la festa dei bambini, nella quale evochiamo con tenerezza la semplicita' di un evento del tutto "umano", ordinario, non spettacolare. Poi ho capito che questo era proprio il brano che ci voleva per me, cosi’ egocentrica. Credo che non mi sia capitato per caso, ma che quel Dio bambino mi abbia voluto richiamare all’umilta’. Marina chiude la sua riflessione invitando tutti noi a tornare da questo viaggio, nelle nostre case, riconoscendo le meraviglie operate da Dio.

Chissa' se per la stanchezza o tensione interiore o proprio per il nervoso di non aver trovato la pagina giusta al momento del canto con la chitarra: comunque sia, assisto al crollo del nostro buon Biste Giamburrasca. Copiose scendono le lacrime, su quelle guance pallide.

La visita a Betlemme si chiude con la tappa alle grotte dei pastori, che in realta' non visitiamo: altri gruppi di italiani le occupano, intenti a celebrare le loro funzioni religiose. La sosta all'aria aperta, nel bel giardino, con fiori e piante curate, non mi dispiace affatto. Riprendiamo posto sul pullmann, consumati dal caldo e dalle fatiche della giornata. Beppe-Ciccio-Isaia ha ancora la forza di scherzare e ci delizia con un travestimento da talebano (be' in realta', indossa semplicemente una kefia).

Una volta in hotel, mi butto sul letto e mi rialzo dopo due ore filate di riposo. Dopo una doccia rigenerante, sono pronto per la cena. E qui ci scappa l'aneddotto. Cos'è una anana? Dicesi "anana" un budino, che ha il solo difetto di avere la "b" di banana scritta con un colore e una dimensione del carattere diversi rispetto a quelli del resto della parola. Il che puo' dar vita a tutta una serie di supposizioni su questo strano budino: secondo Silvia, infatti, la parola anana sarebbe in realtà la traduzione araba di "vaniglia". Ripensandoci, pero', il budino potrebbe avere il gusto dell'ananas, ma e' mai possibile che si siano persi la "s" finale? Eppure, il sapore dolce... Grandissime risate quando si scopre la faccenda: anana diventa per un po' il soprannome di Silvia, come giusto riconoscimento alla sua fervida (e contorta) immaginazione. Vabbe', forse era meglio che se le faceva pure lei un paio d'ore di riposino...

Gerusalemme

La giornata di oggi e' la prima delle due che dedicheremo interamente alla visita di Gerusalemme. Partiamo da Betlemme con un quarto d'ora accademico di ritardo da parte di Bruno e Luisa: in realta' c'e' stato un malinteso sull'orario del ritrovo. Poco male. Ripassiamo dallo stesso posto di blocco del nostro arrivo, ma anche stavolta non ci sono problemi. Anzi, sul pullmann sale un bel soldato e dal fondo si leva il mugugnio delle donne che si lamentano del fatto che il giovane si sia limitato ad osservare, dal posto di guida, la selva di mani alzate con i passaporti.

La prima tappa della Città Santa è la Cappella dell’Ascensione, sul Monte degli Ulivi, nella quale è conservata la roccia dalla quale, secondo la tradizione, Gesù è asceso al cielo davanti agli occhi attoniti degli apostoli. Il sito, di origine crociata, e' divenuto col tempo un luogo di culto islamico: proprio accanto alla cappella cristiana, infatti, è stata costruita una moschea. Vittorio ci spiega che anche i musulmani venerano Gesù, in quanto messaggero di Dio e anticipatore della venuta dell'unico grande profeta, Maometto. Quando Saladino conquisto' Gerusalemme, quindi, decise di convertire la cappella dell'ascensione di Gesu' a luogo commemorativo dell'episodio della salita al cielo compiuta da Maometto (vedi anche santurario della Cupola della Roccia). La visita dura lo spazio di pochissimi minuti, giusto il tempo di entrare, osservare la pietra vicino alla quale e' acceso un lumino e scattare una foto ricordo: fuori ci sono frotte di altri turisti, tra i quali un gruppo di vicentini particolarmente agguerriti e chiassosi. Vittorio e il Don ci avevano messo in guardia su come sarebbe andata questa giornata.

Percorriamo un breve tratto di strada, fino a raggiungere il chiostro di un monastero di frati carmelitani: secondo una antica tradizione, risalente al quarto secolo, in questo luogo Gesu' insegno' ai suoi la preghiera del Padre Nostro. Sulle pareti ci sono decine e decine di maioliche con il testo della preghiera tradotto in varie lingue e dialetti del mondo (Vittorio precisa che sono oltre 140). Piccola nota di costume: tra le tante, notiamo anche la versione in milanese e, in un altro angolo, quelle in emiliano, vicentino e napoletano. All'ingresso, sulla sinistra, si puo' ammirare anche una tavola in marmo con la preghiera trascritta in aramaico ed ebraico, le due lingue probabilmente utilizzate da Gesù durante la sua predicazione. C'e' molta gente, ma riusciamo a trovare un angolo, all'ombra delle piante, dove ritirarci in preghiera e meditazione. Entriamo a visitare l'antica grotta del Padre Nostro e li' intoniamo un canto.

Proseguiamo lungo la strada panoramica che corre sopra l'antico cimitero ebraico e, dopo aver immortalato suor Lucia in una simpatica posa a fianco di un dromedario, raggiungiamo un'ampia balconata panoramica, dalla quale possiamo godere di una splendida vista - davvero da cartolina! - sulle valli del Cedron e di Josafat (ai nostri piedi) e la citta' vecchia (propro di fronte), con il suo profilo di case antiche, cupole e torri e le imponenti mura. Curioso! Se non stessi in realta' parlando di Gerusalemme, un bergamasco potrebbe pensare che stia descrivendo citta' alta, non vi pare? In primo piano, la misteriosa porta d'oro (quella attraverso cui, secondo Ezechiele, passera' il Messia - Gesu' passo' di li' quando fu tradotto in citta' per essere giudicato dal sinedrio) e, piu' in alto, in cima alla collina di Moriah, la bellissima Spianata del Tempio, al centro della quale brilla, con il suo caratteristico tetto dorato, quel magnifico gioiello di arte moresca che e' il santuario della Cupola della Roccia. La "roccia" e' la mitica pietra vicina alla moschea remota (= Gerusalemme) da cui Maometto sarebbe asceso al cielo per il suo viaggio notturno (Al Isrâ'), durante il quale incontra Abramo, Mose', Gesu' e sale fino al cospetto di Allah. L'episodio e' raccontato nella diciassettesima sura del Corano ed e' cosi' venerato da fare di Gerusalemme la terza citta' santa dell'Islam. Secondo la tradizione ebraica, invece, la roccia e' invece la pietra su cui Abramo stava per compiere il sacrificio del figlio Isacco (per i musulmani, si trattava di Ismaele, ndr) prima che Dio gli facesse trovare un ariete impigliato in un cespuglio.

Quante suggestioni! Rievochiamo l’arrivo di Gesu’ a Gerusalemme: vedendo la citta’ si commuove e ne profetizza la fine. Anche il Don sembra partecipare della tristezza di Gesù e con una punta di amarezza ci fa notare come la storia ci stia svelando la triste realizzazione della sua profezia. L'occasione e' ghiotta per una bella foto di gruppo. Da sinistra a destra e dall'alto in basso: Massimo (girato...), Claudio, Luciano, Brunella, Dirce, Lucia, Tina, Manu, Luca "Biste", Nicoletta, Manuela, Franca "Frankieeeee", 'Ciano (il Don), Luca "Ciuicì", Giannina, Dino, Beppe "Ciccio", Silvia, "la" Roby, Bruno, Stefania, Luisa, Antonio, Laura, "il" Roby. Poso il mio quadernetto di appunti per terra e Luca, che mi stava osservando, si inventa un soprannome anche per me: il "Bruno Raschi" della compagnia. Al mio sguardo interrogativo, risponde chiarendo che si tratta di un memorabile giornalista della gazzetta dello sport. Detto da un gran ciclista come lui, lo prendo senza altri indugi come un complimento.

La ripida discesa ci porta verso il giardino del getsemani. Sulla strada, pero', abbiamo l'occasione di guardare piu' da vicino le tombe del cimitero ebraico. Alcune sono antichissime, addirittura risalenti all’epoca del re Davide. Sopra molte tombe sono poste dei sassolini, secondo la tipica usanza della religione ebraica. Vittorio ci spiega che essere sepolti, per gli ebrei, e' un grande privilegio: da ogni parte del mondo, piovono richieste di prenotazione di un pezzo di terra, dove essere sepolti al momento del decesso (con non pochi affanni dei familiari, che devono organizzare il trasporto della salma, magari, dall'altra parte del pianeta!). Quello della sepoltura e’ un servizio gratuito, qui come in tutti i cimiteri ebraici: non si usano bare, ma si viene sepolti e ricoperti da qualche centimetro di terra e da lastre di pietra. I corpi non vengono esumati, come nei nostri cimiteri: e' per questo che si sono conservate tombe così antiche. I parenti più stretti partecipano al rito funebre, l'uomo di casa (ma anche la donna, volendo) normalmente fanno un discorso commemorativo. Ad un anno di distanza esatto dalla scomparsa del caro defunto si celebra un secondo rito, per la quale e' fatto obbligo ai figli di partecipare. Ma per quale motivo gli ebrei desiderano tanto essere sepolti proprio in questo cimitero? Vittorio ci svela anche questo mistero: la valle di Josafat è il luogo nel quale, secondo il loro credo, avverra’ il giudizio universale (Jeoshaphat in ebraico significa infatti "Dio giudicherà"). Un po' come la collina di Megiddo (o Armaghedòn) per i cristiani, insomma.

Ed eccoci al getsemani. Attono alla meta' del '600 i francescani acquistarono l'orto degli ulivi, il giardino dove, secondo il Vangelo, ha inizio la passione di Gesu'. Oggi si possono ammirare delle piante di ulivo secolari, di un fascino sublime. Chiaramente non si tratta degli stessi ulivi di allora, ma e' probabile che derivino dalle stesse radici. La bellezza mistica di questo luogo lascia senza parole. Il silenzio è rotto solo da sussurri. Superato il giardino, visitiamo la Basilica dell’Agonia, dedicata alla passione e al dramma umano vissuto da Gesù: il colore che domina l'interno della chiesa e’ il viola (davvero di grande effetto! L'estro dell'architetto Barluzzi, questa volta, sembra avere centrato in pieno l'obiettivo voluto). L'atmosfera che si respira tra i fedeli e' di grande raccoglimento; di fianco all'altare, alcune donne con la faccia rivolta verso terra abbracciano la pietra su cui Gesu’ si ritiro' in preghiera. Mentre prendo posto ad un banco, vedo il Don in ginocchio, chiuso in una intensa preghiera.

Grazie all'interessamento di Vittorio, troviamo ospitalita' presso il giardino di ulivi che sta di fronte all’orto del gestsemani. Un luogo tranquillo dove fermarci a meditare e pregare. Il commento al vangelo della resurrezione spetta a Nicoletta. Ci parla di Maria e di come sia rimasta colpita dal fatto che non vede il corpo di Gesu’: "Anche io, come lei, fatico a vedere Gesù nella mia vita. Pero' Gesu’ la chiama per nome e questo fatto di essere chiamati da lui, di essere conosciuti uno per uno, ognuno col suo nome... be' questo da una grande carica! Nonostante conosca le nostre debolezze e sappia tutto di noi, vuole ugualmente che il suo messaggio passi per le nostre mani. Anche da una donna come me. Non e' meraviglioso?". Effettivamente, quando ho sentito pronunciare il nome “Maria!” durante la lettura del passo di Giovanni, sono sobbalzato e mi sono commosso: come si fa a rimanere indifferenti ad un Dio che ti chiama per nome?

Prima di lasciare il giardino, il Don ci invita a raccogliere un pugnetto di terra, da portare a casa in ricordo dell'intesa esperienza di pellegrinaggio ai luoghi della passione di Gesu' che stiamo facendo. Io preferisco staccare furtivamente un ramoscello da una pianta di ulivo e mettermi in tasca una piccola pigna caduta accanto ai miei piedi.

Si fa ora di pranzo. Purtroppo, Ahmad non puo’ venirci a prendere col pullmann nel luogo convenuto e cosi' ci tocca fare una bella scarpinata a piedi, in salita, sotto il solleone dell’ora di pranzo. La prendiamo con filosofia: in fondo, siamo o non siamo pellegrini?

lunedì 21 aprile 2008

Suor Donatella

E' sera. Saliamo sulla terrazza dell'hotel, da cui si gode un magnifico panorama sulla citta' e, in particolare, sulla collina di Beit Jala. Nel buio, spiccano le luci verdi dei minareti. Don Luciano è in un angolo del terrazzo, seduto al tavolino con una suora. Non ci stupiamo, l'hotel è gestito da religiose e pensiamo sia una di quelle che lavorano qui. Il Don ci invita a fare cerchio e ci presenta la suora: si chiama Suor Donatella, in realtà non lavora in questo hotel ma lavora comunque a Betlemme ed ha accettato di raccontarci la sua esperienza di missione in questi territori.

Suor Donatella lavora in un ospedale pediatrico, il Caritas Baby Hospital, l'unico presente nei territori occupati. Fu realizzato dal fondatore dell'ordine di cui fa parte, Padre Ernst Schnydrig, il quale, recatosi in Palestina nel Natale del '54, si rese conto di festeggiare la nascita di Gesù in una città dove i bambini morivano, per mancanza di strutture sanitarie specializzate.

Suor Donatella viene da Padova ed e’ in terra santa da quattro anni. Durante tutto questo tempo, ha avuto modo di capire come funzionano le cose da queste parti e ci racconta alcune sue esperienze drammatiche con calma, naturalezza, proprieta', ma anche grande passione. Affetta la realta’ come fosse burro. I suoi occhi hanno una luce speciale. Non so come siano fatti i santi, ma Suor Donatella e' quanto di piu' santo mi sia capitato di incontrare da che io ricordi.

Riporto il testo di un reportage [vedi articolo di Anna De Sacco su www.bumerang.it] segnalatomi da Antonio, che riassume molto bene cosa rappresenti il Caritas Baby Ospital oggi per la Palestina e i problemi che si vivono da questi parti.

Appeso all'entrata c'è il ritratto di Padre Ernest Schnydrig, il fondatore dell'ospedale. Doveva essere qui il giorno dell'inaugurazione, nell'aprile del '78, ma è morto di infarto due giorni prima. Arrivava dalla Svizzera ("Aiutiamo i bambini di Betlemme" è l'associazione italo-tedesca che sostiene l'ospedale) con l'intento di costruire una struttura imparziale e un ponte per la pace "in questa Terra Santa martoriata dai litigi religiosi".


Suor Eliana mi accompagna durante la mia prima visita all'ospedale, lei vive qui da 25 anni, ha visto la prima e seconda intifada, l'assedio di Betlemme del 2002 e ora il muro. "E' dal marzo di tre anni fa (2004) che anche a Betlemme è stato portato il muro. La città è isolata, la situazione economica è vicina al collasso. Ogni notte i lavoratori con il permesso temporaneo per raggiungere Gerusalemme, aspettano in fila per passare il check-point. Il muro divide, questo è il problema più grande che il Caritas Baby Ospital si trova ad affrontare", mi dice. Passare dall'altra parte è una lotta che non sempre si riesce a vincere e così Betlemme sembra sempre di più una prigione. "Una volta era possibile trasferire i bambini più gravi in ospedali israeliani, più attrezzati " dice Suor Donatella, che è all'ospedale da due anni e mezzo. "Ora il muro, i checkpoints, ci tagliano fuori. Il permesso per il bambino viene rilasciato facilmente, ma quello ai genitori no e un bambino da solo in ospedale non viene accettato". Problemi burocratici. Un permesso può arrivare in giornata come dopo settimane e nel frattempo? "E' successo che nell'attesa alcuni bambini siano morti qui da noi. Come si fa a non affezionarsi? Anche se ci passi assieme solo qualche ora al giorno, sono ore intense, sospese tra la vita e la morte.

La maggior parte dei bimbi ha malattie croniche metaboliche. I genitori si sposano tra loro, tra cugini, e quindi i figli nascono con gravi handicap, down o con pesanti scompensi cardiaci. E' dura veder morire un bambino così piccolo. Per fortuna non succede spesso, ma quando accade è difficile per le nostre infermiere (in prevalenza donne, ma ci sono anche quattro uomini) superare il trauma. Le altre patologie più diffuse sono quelle legate all'apparato respiratorio specialmente in inverno, e a quello intestinale, soprattutto in estate. Quest'anno l'influenza è stata tosta, ci ha fatto fare 3 mesi di straordinari. Allo stesso tempo è proprio la consapevolezza che questa struttura sia necessaria che ci fa andare avanti.

Ma non siamo qui solo per curare, vogliamo dare anche un messaggio di solidarietà, poter credere assieme a loro, ai palestinesi, che prima o poi la situazione cambierà". Ci sono 82 posti letto suddivisi in 3 reparti, 2 di pediatria e uno di neonatologia e in più un servizio di assistenza sociale. Le richieste sono superiori alle possibilità, il più delle volte non si può far pernottare la madre e i malati meno gravi si trattano in day-ospital e poi magari si fanno tornare qualche giorno dopo. Il problema rimane quello dello spostamento, arrivano pazienti anche da altre città, dal deserto.

Al di la' del servizio sanitario che facciamo, continua Suor Donatella, un'altra cosa che ci sta molto a cuore è il lavoro che sta portando avanti Suor Silvia. Lei racconta, periodicamente, la situazione di Betlemme attraverso storie di vita di gente che abita qui. Come quel signore che lavorava a fianco della Tomba di Rachele, un padre di famiglia. Di colpo il muro gli ha circondato il negozio portandoglielo via, in Israele. Ogni giorno lui torna li, si siede alla porta del negozio in attesa di nessuno, perchè quei cancelli rimangono chiusi. Non se ne vuole andare, la sua vita è sempre stata li', anche se prima o poi dovrà cedere. Torna a casa la sera non avendo preso niente. Probabilmente la sua è anche una forma di protesta per non mollare la sua terra al di la di quel muro che lo divide dalla sua famiglia, dal suo negozio. Forse è anche speranza. Una speranza che è nera perchè prima o poi si prenderanno anche quel pezzettino che manca e butteranno giù la sua casa. Magari non riesco ad essere ottimista per questa persona, ormai il muro l'hanno costruito ed è difficile che lo buttino giù a breve. Per il futuro della Palestina però ho molta speranza. Se si riuscisse a creare una rete di solidarietà sono certa che i vantaggi arriverebbero presto e i betlemiti riavrebbero la loro dignità. Il popolo di Betlemme ce la farà a rinascere.

Queste notizie vorrebbero dare voce quindi a chi non ne ha, far conoscere ai nostri amici italiani quel che succede "dietro le quinte", dietro le news della tv. Ci siamo rese conto che in Italia si sa molto poco della vita in Palestina, è difficile capirlo da lontano... Venite a vedere! Non è da schierarsi, ma voler conoscere la realtà, quello si'! Per ora abbiamo avuto riscontri positivi alla newsletter di Suor Silvia, c'è molta gente che vuole aiutare. La settimana scorsa, ad esempio, è stato qui un gruppo di operatori turistici che voleva visitare l'ospedale e allo stesso tempo cercare di capire la situazione. Non avevano idea di cosa Betlemme stesse vivendo. Li hanno sconvolti tantissimo gli hotel e i ristoranti chiusi".
Il nostro suggerimento allora è questo: se Betlemme ha sempre vissuto di turismo, aiutiamola a riprendersi da questo punto di vista, sensibilizzando le diocesi, le parrocchie e anche le agenzie turistiche in modo che il pellegrinaggio almeno per due notti si possa fermare a Betlemme. Per i visitatori sarebbe un'opportunità in più per vedere Betlemme con la dovuta calme, e per l'economia locale un grande impulso. E' pericoloso girare per Betlemme e fermarsi la notte? Assolutamente no.

Ci salutiamo, suor Donatella rientra all'ospedale, la seguo finchè attraversa il piazzale asfaltato, poi sparisce, ci sono un sacco di bambini ad aspettarla... Il Baby Ospital davvero non chiude mai.

Oltre a tutto questo, mi colpisce molto il giudizio che Suor Donatella esprime in merito alla situazione politica e ai possibili sviluppi futuri per le terre al di qua del muro: il suo parere e' che lo stato palestinese non ha nessuna speranza di nascere e questo perchè le gerarchie politiche o sono corrotte e senza cultura di stato (nei territori, fino ad ora, ha regnato la piu' totale disorganizzazione), oppure, nel caso dei nuovi leader di Hamas, sembrano solo preoccupate di tenere alta la tensione con Israele. In realtà, la gente comune, di qua e e di la’ dal muro, palestinese come israeliana, vorrebbe solo la fine delle ostilita'. Probabilmente per la maggior parte di loro andrebbe bene anche un solo stato, dove tutti possano vivere nella pace e nell’abbondanza.

Suor Donatella si trattiene a lungo in nostra compagnia: le domande sembrano non finire mai! Lei con pazienza risponde a tutti, fino a che il Don ci invita a salutarla e a riflettere su tutto quello che abbiamo sentito stasera. Come sempre, non a tutte le domande si puo' dare una risposta pronta e definitiva: occorre meditare...

Ein Karem

Finalmente, arriviamo a Gerusalemme. La prima tappa è Ein Kerem (Sorgente della Vigna), nella casa di Giovanni Battista. Fa un gran caldo, fuori dal pullmann la temperatura sfiora i quaranta gradi. Entriamo, attraverso un chiostro francescano, in una chiesa maiolicata di bianco ed azzurro: il santuario di Giovanni Battista che contiene la grotta nella quale si dice sia nato il profeta. Luogo della rivelazione: sulle pareti del chioestro, in molte lingue diverse, e' stato trascritto il bellissimo cantico di Zaccaria.

Quindi, saliamo una lunga scalinata che porta alla chiesa ortodossa, sorta nel luogo della visitazione di Maria alla cugina Elisabetta. Nel chiostro, trascritta in varie lingue, questa volta troviamo la preghiera del Magnificat. Celebriamo la messa verso le tre dentro una piccola e intima cappella. Registro sul mio quadernetto di appunti le “forche caudine” di Antonio (cosi' le definisce lui stesso), cioe' il momento in cui tocca a lui dire proporre una riflessione. Antonio ci presenta Giovanni come un ambasciatore umile di Cristo, che a sua volta viene al mondo, in mezzo agli uomoni, come Dio umile. Ci confessa che quella voce di uno che grida nel deserto guida ora anche lui, verso cose a cui fino ad ora non aveva dato molta importanza: "fino ad ora mi ero messo un po’ al di fuori della religione, andavo avanti con le mie idee. Ora mi metto in ascolto umile. Mi meraviglia il fatto che tante persone come voi riescano ad abbracciare la fede in modo cosi’ totale e partecipato. Ho picchiato la testa oppure anche io comincio a camminare sulla vostra stessa strada?". Il Don tradisce la sua emozione per il discorso di Antonio e ci racconta di un aneddoto successo poco prima del nostro arrivo in chiesa: una vecchietta sdentata, avvicinandosi all'altare, si prostra a terra e bacia il pavimento della chiesa, poi si tira su e gli chiede: padre, e’ cosi’ che si fa? Si, si e' cosi' che si fa, risponde Luciano. La bellezza dell'incontro con la fede in Cristo non ha regole, segue un percorso proprio, fatto anche di gesti spontanei.

Sono circa le cinque quando torniamo al pullmann, stanchi ma felici. Manca solo un ultimo tratto di strada fino alla meta finale di questa lunga giornata: Betlemme. Il pullman attraversa una zona moderna di Gerusalemme, caratterizzata da lunghi filari di case con le facciate rivestite di pietra bianca di Gerusalemme. Passiamo non lontani dallo stadio, che ha la particolarita' di essere aperto dal lato sud, nel senso che manca completamente di una curva. Curioso! Sui tetti delle case, sopra ogni singola abitazione, si notano istallazioni di pannelli solari per l'acqua calda: da queste parti la resa dev'essere effettivamente notevole. Comunque sia, sono un segno concreto della capacita' di questo popolo di adattarsi con razionalita' e successo ad un ambiente per molti versi ostile.

Ad un certo punto, in prossimita' del posto di blocco israeliano situato all'ingresso di Betlemme, Vittorio scende dal pullmann e ci affida ad Ahmad: a lui non e' permesso proseguire oltre. Il primo impatto con i territori palestinesi e', dunque, quello con il muro, la cinta di lastroni grigi di cemento, alti otto metri e in molti punti sormontati da filo spinato elettrificato, che circonda (delimitandola notevolmente verso l'interno) quasi tutta la Cisgiordania. Passiamo il check-in senza grossi problemi, ma l’atmosfera non e’ certo piacevole.

Prima di raggiungere l'albergo, facciamo tappa presso un negozio di souvenirs religiosi. Il Don, che da buon pastore conosce le sue pecorelle spendaiole, concede un'ora di scorazzamento libero. All'uscita, ci attendono venditori ambulanti (tra loro, anche bambini) che ci inseguono quasi fin dentro il pullmann per venderci collanine e chincaglieria. Dirce ci incoraggia a trattare: con queste persone si possono concludere ottimi affari. La nostra Roby non se lo fa ripetere due volte e incita la madre a comprare ancora qualcosa per le sue colleghe. Ma Tina non sente o non capisce e Roby, stizzita, urla: Mamma! Ma parlo arabo?!? Prendi ancora una stellina! Fantastica. Ma il quadretto piu’ divertente porta la firma di Luca. Rincorso con insistenza da un ragazzetto palestinese che a tutti i costi voleva vendergli qualcosa, si mette la mano in tasca in cerca di un euro, lo trova, glielo allunga e con il suo inimitabile stile lo liquida dicendo: "te’, ciuici’ dell’ostrega!". Purtroppo, non assisto direttamente, alla scena, ma quando ce la racconta Silvia, scoppiamo a ridere come matti, eleggendo all'istante il suo come il miglior motto del viaggio.

La salita per via di Pope John II si rivela impraticabile, a causa di una macchina parcheggiata a ridosso della curva, di suo gia' molto stretta. Ahmad e' costretto a compiere un'inversione piuttosto difficoltosa. Due passanti si improvvisano vigili e aiutano l'autista nella complicata manovra, facendo defluire il traffico. Ho l'impressione che questo imprevisto abbia indotto un po' di nervosismo a bordo. Chissa' se sono l'unico ad aver notato il manifesto appeso sul muro alla nostra destra che ritrae un gruppo di quattro guerriglieri con il mitra spianato. Beppe sdrammatizza con qualche battuta, poi finalmente la situazione si sbloccha, quando qualcuno suggerisce all’autista una strada alternativa, dove non incontriamo altri ostacoli. L'arrivo all’hotel (St. Vincent Guest House: molto carino!) e' sottolineato da applausi convinti per Ahmad. Torna il buon umore.

Mentre ci prepariamo per la cena, il cielo di Betlemme imbrunisce e dagli alti minareti si leva nell'aria il canto dei muezzin.

Haifa e Monte Carmelo

Riprendiamo il viaggio, diretti ad Haifa per la visita al Monte Carmelo. Haifa e' la terza citta' di Israele, importante polo industriale e produttivo del paese, fiorito in modo esplosivo sotto la spinta del sionismo nell'arco del secolo scorso. Con il pullmann, attraversiamo tutta la zona del grande porto; dai finestrini, scorgiamo solo cemento, torri moderne alternate a case vecchie e cadenti e, piu' in alto, appollaiati sulla collina, lunghi filari di casermoni-piccionaia. Un pugno nell'occhio! Vittorio minimizza, spiegando che Haifa non ha un aspetto molto diverso da quello che offrono altri grandi porti del Mediterraneo (discutibile). Ci spiega anche che tutto il terreno, ormai, e' stato sfruttato e non c'e' piu' posto per nuovi quartieri... a meno di non voler violare la grande area verde - oggi protetta - del sacro monte di Elia. L'unica cosa degna di nota che fotografiamo, prima di raggiungere il ristorante, e' l'eccentrico Tempio Baha’i, con le sue curatissime terrazze-giardino.

Il racconto biblico che associamo alla visita del Monte Carmelo è quello della sfida del fuoco che vede opposti Elia ai profeti di Baal. Compiuto il segno, Elia fa catturare questi ultimi e li scanna presso il torrente Kison. Un brano difficile da accettare, per un cristiano di oggi: il Dio che veneriamo come Padre buono, quello che del porgi l'altra guancia, è lo stesso Dio giudice castigatore che impone il sacrificio di quattrocentocinquanta persone, colpevoli di seguire un culto diverso da quello comandato ad Israele? Quello che oggi appare come un messaggio inaccettabile, spiega il Don, deve essere riletto in relazione al contesto nel quale il brano fu scritto: va colto il significato che sta dietro una narrazione concepita in tempi molto lontani da noi, anche e soprattutto sotto il profilo culturale.

La fatica di capire il messaggio biblico trova uno sfondo adatto nella chiesa-monastero Stella Maris dei frati carmelitani. All'interno, vi e' un grande andirivieni di gruppi di pellegrini, soprattutto ortodossi orientali e russi, che visitano rumorosamente la grotta di Elia, posta dietro l'altare. Dopo vani tentativi di estraniarci, anche attraverso la preghiera e il canto, ci ritiriamo in buon ordine verso un luogo più appartato (alla fine, lo troviamo in prossimita' dell'ingresso alla zona bagni). Alcuni si siedono su un muretto, altri si accampano per terra, sull'asfalto; il Don si prepara con la chitarra e noi con libri e canti. Gli altri gruppi, passandoci accanto, mostrano rispetto per la nostra preghiera abbassando il tono della voce.

Il commento tocca a Silvia, che cominica la sua riflessione parlando del segno del fuoco, acceso dal Signore sull'altare dell'olocausto. Spesso chiediamo a Dio di compiere grandi miracoli e non ci accorgiamo dei segni che, come fuoco, gia' sono stati accesi attorno a noi, per la nostra vita: sono coloro che ci stanno accanto. E' una grande consolazione pensare che Dio agisca attraverso le persone che incontriamo nel quotidiano. Le relazioni sono importanti: peccato non riconoscerne il valore!

Per il pranzo, torniamo nella parte bassa di Haifa, vicino alla vecchia colonia tedesca. Dopo un parcheggio a dir poco acrobatico (bravo Ahmad!), ci godiamo un ottimo e abbondante pasto concluso con un dolce tipico strabordante (ma veramente strabordante) di miele. Nota culinaria: in Israele non si mangia affatto male, nonostante la monotonia del pollo piu' salsina di ceci. Dopo il caffè (questo si' che non e' un gran che), torniamo subito in pullmann, per continuare il lungo viaggio verso Gerusalemme. Vittorio chiarisce che per ragioni di sicurezza passiamo per la costa, la Samaria purtroppo non e’ cosi’ sicura. Durante il viaggio i piu' sonnecchiano, ma c'e' il tempo di qualche chiacchiera e cosi' scopriamo che Massimo e Nicoletta si sono sposati alla tenera eta' di 23 anni, cosi' come Bruno e Luisa. Ah! Come sono cambiati i tempi... :-)

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